La stitichezza (o stipsi), è una condizione che riguarda una fetta importante di popolazione, anche se è più presente nel sesso femminile a causa di fattori anatomici, di cambiamenti ormonali o della gravidanza.
Tuttavia, la maggior parte delle persone tende a non rivolgersi al medico, preferendo l’uso di lassativi.
Un’indagine radiologica è invece fondamentale per individuare la causa del problema e trattarlo anche a lungo termine.
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Bibiana Bozzini, medico radiologo presso gli ambulatori Humanitas Medical Care Murat e Monza e presso Humanitas San Pio X a Milano.
Che cosa si intende per stitichezza?
La stitichezza (o stipsi) si divide in due grosse categorie che dipendono principalmente dalla causa che l’hanno scatenata: la prima può essere provocata da un rallentato transito delle feci nell’intestino (generalmente la persona defeca molto tardi rispetto a quando ha mangiato perché tutto il tratto intestinale è rallentato); la seconda (stipsi rettale), è causata da una difficoltà all’evacuazione (può dipendere da una disfunzione del pavimento pelvico, causata dal parto o dall’avanzare dell’età).
In entrambi i casi, la persona fa fatica a evacuare, ha la sensazione di non aver svuotato adeguatamente l’intestino, e spesso, avverte dolore durante l’evacuazione a causa delle feci dure bloccate nel sigma e nel retto.
Stitichezza: i criteri per la diagnosi
Oggi, la diagnosi di stipsi basata su un numero di evacuazioni settimanali è stata pressoché abbandonata. Viene più spesso fatto riferimento ai cosiddetti “Criteri di Roma” (stabiliti da una commissione internazionale per definire la diagnosi e guidare il trattamento dei disordini funzionali gastrointestinali).
Questi criteri affermano che per avere una diagnosi di stipsi devono essere soddisfatte tre condizioni (presenti per almeno 3 mesi, con un esordio da almeno 6 mesi prima della diagnosi), quali:
1. Presenza di almeno due dei seguenti sintomi:
- Sforzo durante l’evacuazione
- Feci piccole e dure
- Sensazione di evacuazione incompleta
- Sensazione di ostruzione anorettale
- Necessità di manovre manuali
- Meno di tre evacuazioni a settimana
2. Feci liquide rare (se non in caso di uso di lassativi).
3. Criteri insufficienti a diagnosticare la sindrome dell’intestino irritabile.
Come viene diagnosticata la stitichezza?
Per riconoscere il problema e intervenire in modo adeguato, ci si può affidare alla diagnostica per immagini, in particolare, a due esami specifici: l’RX dei tempi di transito e la cistocolpodefecografia con opacizzazione dell’intestino tenue nelle pazienti di sesso femminile a defecografia con opacizzazione dell’intestino tenue nei maschi.
Con la radiografia dei tempi di transito è possibile valutare e studiare la tempistica di transito delle feci nell’intestino utilizzando piccoli marker radiopachi da ingerire. Una volta ingeriti, la donna torna da noi dopo un arco di tempo stabilito, per eseguire una radiografia dell’addome che ci permette di contare letteralmente i marker eliminati e vedere dove si sono fermati quelli residui, cioè se nel colon di destra o nel colon di sinistra. In questo modo è possibile valutare se si tratta di stipsi da ritardato transito o da ostruita defecazione.
Con la defecografia con opacizzazione dele anse intestinali e con la cistocolpodefecografia con opacizzazione dell’intestino tenue invece, è possibile valutare le strutture che compongono il pavimento pelvico (per capire se il problema è dovuto a una mancata coordinazione tra i muscoli) e studiare le fasi della defecazione, identificando eventuali alterazioni anatomiche (come uno sfiancamento della parete, un prolasso, un’invaginazione retto-ampollare o retto-anale che compromettono il normale svuotamento dell’ampolla rettale).
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