Un evento pandemico significa cambiamento della routine, incertezza, paure reali e costanti, catastrofe, traumatismo e talvolta lutto. È una situazione che sollecita il nostro cervello emotivo, che deve reagire lavorando molto per trovare un equilibrio.
Da quando il Covid è entrato nelle nostre vite si sente parlare di un aumento del disagio emotivo, di una esplosione di forme d’ansia e depressione. Ma è vero?
Abbiamo provato a fare il punto.
Un viaggio ricco di informazioni, dati scientifici e spunti concreti per gestire le proprie emozioni, giorno per giorno, nei piccoli problemi di tutti i giorni. Vogliamo anche condividere domande aperte, perché non tutto è chiaro, non tutto è codificato e forse di alcune cose si parla poco e male. Altre sono sottovalutate, o la scienza non ci aiuta con certezze e protocolli.
Sì: gestire. Un termine che questa pandemia porta alla ribalta.
Se vogliamo provare a trovare uno stimolo positivo in questo evento catastrofico, l’opportunità che c’è in tutte le difficoltà, è proprio questa: non occorre essere malati per potersi concedere un supporto emotivo, psicologico, o una “psico-terapia”. Piuttosto, un aiuto per imparare a gestire emozioni che non sono patologia, ma sono comunque difficili da tollerare, usare e incanalare.
Le emozioni sono sempre una risorsa utile che ci aiuta ad affrontare ogni situazione: sono un segnale, colorano la nostra esperienza, e sono anche una risposta, pronta, veloce, istintiva, che ci difende.
Certo, anche il nostro cervello emotivo può ammalarsi e quindi produrre una forma di emozioni tossiche, eccessive per intensità, inappropriate alla situazione.
Pensiamo per esempio all’ansia. L’ansia è un’emozione che ci permette di gestire una minaccia nel tempo. Devo sostenere un esame all’università: l’ansia di essere bocciato, di non raggiungere il mio risultato mi renderà più concentrato, più tonico, più risoluto; le manifestazioni neurofisiologiche dell’ansia mi preparano costruttivamente a dare il massimo. Ma se l’ansia diventa eccessiva, inizio a non dormire abbastanza, a mangiare troppo poco perché ho lo stomaco chiuso, a rimuginare anziché focalizzare i concetti, l’ansia non è più utile e diventa un ostacolo. Diventa patologica.
Il cambiamento, anche quello positivo, produce sempre emozioni negative, figuriamoci una pandemia. Insonnia, irritabilità, senso di vuoto, ipocondria, sono all’ordine del giorno. Ma questo non implica necessariamente la presenza di una patologia.
Sicuramente ci sono specifiche situazioni in cui la pandemia può far sviluppare o emergere una sindrome clinica: molti operatori sanitari, familiari, pazienti, lavoratori e imprenditori vivono e hanno vissuto drammi emotivi e sociali devastanti. Molti di loro svilupperanno una sintomatologia di stress traumatico, forme di ansia e depressione patologica, attacchi di panico e fobie; vere e proprie malattie per cui sarà necessaria una cura.
Possiamo dire, per fortuna, sono però comunque una minoranza. E gli altri? E noi? Tutti noi?
I nostri bambini che, abituati a correre e giocare vivendo appieno la loro fisicità, loro come se la cavano? I nostri figli adolescenti, che soffrono il male generazionale dell’isolamento e della solitudine: come affrontano il distanziamento sociale? Che adulti saranno? E noi, forza lavoro, che viviamo uno stravolgimento di prassi, abitudini, che impatto ha tutto ciò sulla nostra salute emotiva oltre che sulla nostra produttività? E i nonni? come la stanno vivendo? Isolati dai nipoti per tutelarsi ma soli più che mai, con lo spauracchio di ammalarsi.
Ecco allora che parliamo della stanchezza emotiva, quella sensazione di non vedere la fine del tunnel che un po’ caratterizza la seconda ondata di Covid. La prima ha tirato fuori in tutti noi un senso di unità nell’affrontare il nemico comune. Ha tirato fuori energia e proattività. La seconda ondata ha prodotto disillusione, frustrazione, senso di colpa, confusione.
Per descrivere meglio le emozioni fisiologiche – da gestire – e le reazioni patologiche, abnormi – da indirizzare ad una terapia – abbiamo fatto il punto in un articolo specifico.
Forse non sono stanchi, ma annoiati, irritati e soli. I nostri figli hanno bisogno di aiuto a gestire il cambiamento che la didattica a distanza e il distanziamento sociale impongono.
Il distanziamento sociale ci ha portati a sentire la mancanza del contatto fisico con i nostri affetti. Forse non tutti sanno che le coccole sono un naturale antidepressivo e ci sono spiegazioni neurobiologiche per questo.
E per te, per tutti noi, per avere un orientamento e capire cosa potresti fare per gestire il tuo disagio o se hai bisogno di curare una patologia, Humanitas Medical Care ha creato il servizio “Lo psicologo al tuo fianco”, uno sportello di orientamento digitale gratuito.
Scopri di più-
12.000.000 Visite
-
1.000.000 pazienti
-
7.300 professionisti
-
190.000 ricoveri
-
12.000 medici