Psicologia della pazienza in sette domande

Definire il concetto di “pazienza” è un compito difficile. La dott.ssa Pamela Franchi, psicologa Humanitas Medical Care, ha provato a fare chiarezza ai microfoni di Radio Number One, spiegando cos’è la pazienza per la psicologia, quali sono i meccanismi neurobiologici responsabili del suo sviluppo e come sia possibile allenarla. 

1. Cos’è davvero la pazienza ?

La pazienza è la capacità di tollerare situazioni sfavorevoli, di fronte alle quali è possibile avere o meno il controllo. In altre parole, si tratta della facoltà di rimandare nel tempo la propria reazione alle avversità, rispondendo allo stimolo con un atteggiamento neutrale. 

2. Pazienza e neuroscienze: cosa accade nel nostro cervello? 

Uno studio dell’Istituto Universitario di Scienza e Tecnologia di Okinawa ha indagato l’origine neurobiologica della pazienza, con l’obiettivo di descrivere quali siano i meccanismi implicati nei comportamenti impulsivi. I ricercatori hanno individuato le specifiche aree del cervello coinvolte, evidenziato una stretta correlazione con la produzione del neurotrasmettitore serotonina.  

Esplorando tre aree del cervello si è compreso che esiste una stretta relazione tra comportamenti impulsivi e pazienza: maggiore è l’impulsività, minore la pazienza. Le aree esaminate, se danneggiate, risultano coinvolte nello sviluppo di comportamenti impulsivi. 

Sulla base delle evidenze, i ricercatori sostengono che un aumento della serotonina predisponga all’attesa se esiste la promessa di una ricompensa imminente, e che la stessa attivazione dei neurotrasmettitori favorisca la disponibilità ad attendere più a lungo la gratificazione e promuova la pazienza. 

In definitiva, lo studio ha evidenziato come la serotonina aiuti a regolare l’umore, i cicli sonno-veglia e l’appetito. L’azione di questo messaggero chimico risulta fondamentale nello sviluppo della pazienza e nella maggior disponibilità a ritardare l’ottenimento di una ricompensa.  

3. Qual’è il confine che separa pazienza e sottomissione? 

La capacità di tollerare situazioni sfavorevoli non deve far perdere contatto con la realtà, per trasformarsi in una tolleranza indefinita e “a priori”. Non parliamo quindi di sottomissione o passività, ma piuttosto della capacità di gestire le situazioni più disparate con lucidità, senza perdere la calma, adottando un atteggiamento costruttivo. L’eclissi della pazienza è dovuta infatti anche ad un errore di interpretazione: spesso viene confusa con l’inerzia, la sconfitta, la resa passiva.

In una relazione interpersonale o amorosa è necessario riconoscere che la pazienza non ha nulla a che fare con la sottomissione o con la propensione a tollerare indefinitamente la frustrazione. Essere pazienti e fare della pazienza una virtù aiuta ad analizzare più lucidamente la situazione, ad osservare ed essere riflessivi. Tuttavia, questo processo interiore deve essere sempre finalizzato ad una migliore comprensione della realtà. Una persona passiva, al contrario, rende la tolleranza il suo stile di vita, sopportando abusi a tal punto da sperimentare sulla propria pelle la frantumazione della propria integrità.

4. Quali sono i benefici della pazienza all’interno di una relazione?

All’interno di una relazione affettiva la pazienza è un pilastro, e dovrebbe essere applicata quasi come un esercizio. Essere pazienti significa rispettarsi e volersi bene, riconoscere l’altro come persona e tollerare le differenze che inevitabilmente esistono. 

La pazienza richiede a sua volta capacità di gestire le emozioni e tollerare la frustrazione: non si devono però chiudere gli occhi di fronte alle mancanze, né essere insensibili al dolore emotivo provocato dai vuoti o dal sottile peso di parole avvelenate.

5. La pazienza si può allenare?

I bambini sono proverbialmente impazienti: se hanno fame piangono, e smettono di farlo solo se immediatamente accontentati. Allo stesso modo gli adolescenti faticano nel rimanere qualche ora fermi a scuola. Tanto i bambini quanto gli adolescenti, con il tempo e con una buona educazione (fatta anche, e non solo, di buoni esempi, allenamento all’autocontrollo e rispetto delle regole), possono imparare il valore dell’attesa riflessiva

Se desiderano riuscire – ad esempio – in un gioco come lo sport è necessario che sappiano disciplinare i loro impulsi. Essere in grado di riconoscere l’importanza dei momenti all’interno del gioco, di valutare quando è necessario scattare e quando invece è meglio stare fermi. Comprendere l’importanza della ripetizione, talvolta quasi meccanica, che i loro allenamenti richiedono.

Un interessante esperimento di psicologia comportamentale, condotto per la prima volta nel 1972 da Walter Mischel dell’Università di Stanford, ha messo a dura prova un gruppo di bambini di 4 anni, a cui era stato richiesto di resistere alla tentazione di mangiare un marshmallow: lo sperimentatore aveva spiegato ad ognuno di loro che, se fossero stati in grado di non mangiare il marshmallow in sua assenza, al suo rientro ne avrebbero potuti mangiare degli altri. Alcuni bambini, pur con difficoltà, erano stati in grado di resistere alla tentazione con una serie di strategie (annusare il dolcetto, coprirsi il volto con le mani, concentrarsi ad occhi chiusi, ecc.), mentre altri non erano riusciti a trattenersi.

Negli anni successivi all’esperimento, i bambini sottoposti al test erano rimasti sotto osservazione: esaminando personalità, carattere e rendimento scolastico, è emerso che chi era riuscito a resistere alla tentazione-marshmallow attraverso il pensiero aveva poi ottenuto migliori risultati a livello scolastico, era in grado di gestire lo stress e di pianificare il proprio tempo. Al contrario, gli “impazienti” erano divenuti adulti più insicuri, meno capaci di concentrarsi, di controllare i propri impulsi e di mantenere le proprie amicizie.

6. La pandemia ci ha reso più intolleranti? 

Ogni situazione è unica: esistono circostanze in cui il disagio è comprensibile, poiché l’attesa è legata ad eventi drammatici e dolorosi, come la malattia, l’esito di un esame diagnostico o l’attuale situazione pandemica. Spesso però, si vivono con insofferenza anche momenti di routine quotidiana (es. una attesa che che si protrae, l’esito di un colloquio lavorativo che tarda ad arrivare o il traffico per andare a lavoro) in cui piuttosto che lasciarsi dominare dall’ansia e dal nervosismo potrebbe essere utile approcciarsi a quella “pausa” in maniera diversa, cogliendola come un’opportunità per osservarsi, ascoltarsi e scoprire aspetti di sé nascosti nella costante impazienza e agitazione. 

In questi casi, è fondamentale resistere alla tentazione di riempire a tutti i costi il “vuoto” che quell’attesa comporta. Riscoprire la dimensione del “non fare”, del “non intervenire”, la capacità di osservare ed osservarsi senza aspettative e idee preconcette. Fermarsi non vuol dire “non muoversi”, ma muoversi meglio: anche un’attesa apparentemente fastidiosa può favorire una riflessione utile ad un miglioramento. 

Un interessante studio inglese ha calcolato il limite massimo di attesa: che si tratti di un call center o del cameriere al ristorante, in media, si perde la pazienza dopo soli 8 minuti e 22 secondi. Al computer, la soglia di sopportazione si abbassa ulteriormente: si è dimostrato infatti che se si aspetta più di 1 minuto per un download, l’umore inizia ad alterarsi, raggiungendo il picco dopo 5 minuti e 4 secondi di attesa.

Tali risultati sono indicativi del cambiamento radicale nella percezione del tempo, risultato di una società che spinge ad essere più veloci e reattivi, costantemente proiettati al futuro, sempre ansiosi per scadenze o impegni da rispettare.

L’incapacità di attendere, a cui spesso fa seguito il continuo passare da un’esperienza all’altra, spesso cela un problema di fondo: la tendenza ad annoiarsi facilmente. 

7. Come riappropriarsi della capacità di attendere?

Il presupposto di base è rinunciare alla pretesa di ottenere “tutto e subito”. Come fare? 

  • Attribuire valore al presente: l’incapacità di vivere l’attesa e la conseguente perdita di pazienza sono spesso figlie della tendenza, tipica della nostra epoca, a proiettarsi completamente al futuro. È chiaro che bisogna porsi degli obiettivi a lungo termine, ma coscienti del fatto che il loro raggiungimento prevede un percorso che parte da un “oggi”, da un “qui e ora”, meritevoli di altrettanta attenzione. Vivere il presente, assaporando consapevolmente ogni singolo momento, permette di comprendere che ogni processo ha un suo tempo, fatto anche di pazienza e di qualche piccola frustrazione.
  • Porsi obiettivi realistici: stabilire degli obiettivi è fondamentale, ma devono essere realistici, definiti, e con tempistiche verosimili. Puntare ad una promozione sul posto di lavoro non basta: serve chiedersi anche “in quanto tempo e in che modo posso farcela?”. In questo modo si pone un freno all’impazienza e “all’ansia da risultato”. Altra utile indicazione è quella di non concentrarsi su un unico obiettivo, poiché lungo il percorso che conduce al traguardo potrebbero presentarsi altre interessanti opportunità che potrebbero non essere nemmeno prese in considerazione. 
  • Allenarsi a reagire con la giusta calma: attraverso pratiche come il rilassamento, la meditazione o il training autogeno si può allenare la capacità di godersi pienamente ogni istante.

Pianificare: la pianificazione in vista di una meta aiuta a vivere meglio l’attesa, ma quando si è in relazione con l’altro è bene non porsi troppi limiti temporali. Il “tutto e subito” seduce, ma la gradualità offre un piacere più duraturo. Se si corre troppo, il rischio è di perdersi il bello delle piccole cose, dei minimi gesti, della creazione lenta di qualcosa di importante. Risulta fondamentale riconoscere ed accettare i propri tempi emotivi, diversi per ognuno di noi, e che entrare in connessione con l’altro significa cercare di trovare una velocità adatta ad entrambi.

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