Il ruolo di un ambulatorio di urologia è quello di cercare di individuare malattie urologiche che si trovano nella fase in cui possono essere curate o in cui, meglio ancora, se ne può anticipare la formazione attraverso un’attività di prevenzione.
Di patologie che riguardano nello specifico la salute urinaria e sessuale maschile parliamo con il prof. Walter Artebani, urologo che svolge attività ambulatoriale presso l’Humanitas Medical Care di Bergamo.
Qual è l’attività principale dell’ambulatorio di urologia attivo a Bergamo?
«La nostra attività consiste nel creare anche nel sesso maschile quella mentalità preventiva che è già molto diffusa nel sesso femminile. Negli uomini non è semplice come per la donna, che è abituata ad andare dal ginecologo nelle fasi della propria vita. Nel maschio persiste ancora una sorta di tabù nei confronti della visita urologica che prevede la tanto “temuta” esplorazione rettale. Ma c’è di più. Contrariamente a quanto accade per le donne, che godono di esami di screening ormai ben strutturati e dagli esiti sicuri – come ad esempio la mammografia e il pap-test – per gli uomini non esiste nessuno screening relativo alle malattie urologiche. L’esame del sangue relativo al PSA, che è il marcatore aspecifico di malattie della prostata, non può infatti essere considerato un test di screening sulla popolazione».
Che cosa si intende con “test di screening sulla popolazione”?
«Con questa definizione si indica l’azione per cui attraverso un test eseguito su un numero di persone quanto più vasto possibile, si può identificare con una diagnosi precoce una malattia che potenzialmente può avere effetti anche gravi, riducendone in questo modo l’incidenza. Purtroppo, come detto, l’esame del PSA non risponde a questi requisiti, anche perché il cancro alla prostata è una malattia particolare, che ha un’evoluzione del tempo molto lunga. La maggior parte dei cancri di questo genere può avere una durata dai 10 ai 15 anni anche senza trattamento, per cui gli eventuali vantaggi di un test di questo tipo si vedono a una tal distanza di tempo che il loro vantaggio immediato non risulta essere così evidente».
Ciò non toglie che fare prevenzione, anche in ambito urologico, sia possibile…
«Non solo è possibile, è doveroso. Un maschio in età considerata dal nostro punto di vista “critica”, attorno ai 40 anni, dovrebbe pensare di farsi visitare da un urologo, soprattutto nel caso in cui soffra di disturbi urinari della minzione o di disturbi di natura sessuale che possono essere piccoli campanelli d’allarme di qualcosa che sta cominciando a non funzionare per il verso giusto».
Quali sono, più nel dettaglio, i sintomi che devono indurre un uomo a sottoporsi a una visita urologica?
«I fattori di allarme sono il fatto di cominciare a urinare la notte, l’aumento della frequenza delle minzioni durante il giorno, le difficoltà a urinare, la presenza di infezioni urinarie, il cambiamento di colore delle urine dovuto alla presenza di sangue e, soprattutto, un calo improvviso e ripetuto delle prestazioni sessuali. Sono tutte situazioni che possono essere solo fenomeni transitori, non pericolosi, ma che possono anche essere prime manifestazioni di malattie che poi si riveleranno nel tempo».
Possono presentarsi in modo indipendente o sono spesso legati tra loro?
«Può presentarsi anche un solo sintomo. Un esempio tipico è quello dell’insorgere di un difetto della prestazione sessuale in età relativamente giovane, attorno ai 45-50 anni. Si manifesta attraverso un difetto dell’erezione, cioè in un’erezione minore rispetto a prima, o difficile da mantenere o, ancora, tale da non riuscire ad assicurare il regolare svolgimento di una normale attività sessuale. Un problema che può sorgere per ragioni psicologiche, ad esempio a seguito di una condizione contraddistinta da forte stress lavorativo, oppure che può essere causato da una malattia vascolare incipiente, che interessa le piccole arterie peniene, che hanno una dimensione analoga a quella delle arterie coronariche, e che può mettere in allarme sul pericolo di insorgenza di un infarto al miocardio».
I sintomi urologici possono dunque indicare la presenza di altre patologie?
«Sì, è proprio cosi. Tutti i sintomi minzionali, ad esempio, possono essere collegati a una cosiddetta sindrome dismetabolica e denunciare, ad esempio un’obesità o un diabete nelle loro fasi iniziali. Un aspetto che rende ancor più importante la necessità di fare prevenzione e di attivare il prima possibile tutti i sistemi preventivi collegati agli stili di vita, i comportamenti virtuosi ed eventualmente gli approcci farmacologici indicati dallo specialista».
In definitiva, che cosa significa concretamente fare diagnosi precoce in campo urologico?
«Significa che anche quando si è in buona salute – tanto più quando compaiono i sintomi che abbiamo detto – vale la pena di fare ricorso al proprio medico di medicina generale e allo specialista urologo per sottoporsi a vari test tra cui quello del PSA, fare quando necessario un profilo ormonale per analizzare la situazione relativa al testosterone e agli ormoni ipofisari, fare un’ecografia addominale pelvica che comprenda la valutazione dei genitali e sottoporsi a un’esplorazione rettale con la palpazione della prostata».
Nel caso in cui visita ed esami non abbiano denunciato problemi, dopo la prima visita preventiva con quale cadenza è comunque bene sottoporsi a controlli?
«Il percorso diagnostico successivo varia a seconda dello stato di salute e dell’età del paziente. L’urologo al termine della visita fissa in genere la data del successivo controllo, che può essere dopo uno, due o tre anni, a seconda dell’occorrenza. Una decisione che viene presa dallo specialista in base a protocolli condivisi sulle linee guida nazionali e internazionali, che prevedono un percorso ideale in base alle diverse situazioni».
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