Da uno studio americano, condotto su parecchie residenze per anziani, risulta che il declino cognitivo potrebbe essere rallentato con la giusta dieta, una combinazione della dieta mediterranea con quella ideata per chi soffre di ipertensione.
Secondo i ricercatori, il regime alimentare composto di cereali integrali, legumi, verdure (soprattutto a foglia verde), noci, frutti di bosco (in particolare mirtilli), pesce, pollo, olio di oliva e vino, unitamente all’eliminazione quasi totale di burro, dolci, formaggio grasso e cibi fritti o da fast food, ringiovanisce il cervello di sette anni e mezzo e diminuisce la probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer nelle persone a rischio.
Abbiamo chiesto al professor Alberto Albanese, responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia I in Humanitas, se esiste un rapporto tra alimentazione e declino cognitivo.
È vero che un particolare regime alimentare può prevenire l’Alzheimer?
“La nostra comprensione delle influenze dietetiche sulla malattia di Alzheimer è ancora allo stadio iniziale e disponiamo solo di pochi studi epidemiologici che esaminano le associazioni tra assunzione di cibo e sviluppo della malattia. Oggi non è possibile affermare con certezza se un particolare componente nutrizionale provochi o prevenga la malattia di Alzheimer”, afferma il professore.
“Finora la prova migliore – prosegue – risiede nella possibilità di utilizzare sostanze antiossidanti, quali la vitamina E e la vitamina C. Numerosi studi su modelli sperimentali hanno dimostrato che la malattia di Alzheimer si associa a danno ossidativo e a fenomeni infiammatori, anche se non è ancora stato chiarito se questi processi siano una causa o un effetto della malattia”.
Quindi, le vitamine E e C possono svolgere un’azione protettiva nei confronti dell’Alzheimer?
“È solo un’ipotesi”, afferma il professore. E aggiunge: “La vitamina E ha sia proprietà antiossidanti, in grado di neutralizzare i radicali liberi generati dall’attività metabolica, sia anti-infiammatorie. La vitamina C è un antiossidante meno potente della vitamina E, circola all’interno del plasma e svolge la funzione aggiuntiva di ripristinare le capacità antiossidanti della vitamina E. Nonostante questi indizi, però, vi è una scarsa evidenza clinica sulla possibilità che le vitamine E e C svolgano un’azione protettiva nei confronti della malattia di Alzheimer o di altre malattie neurodegenerative”.
A che cosa è dovuta questa carenza di evidenze scientifiche?
“Sono stati eseguiti tre studi prospettici che non hanno fornito risultati omogenei”, spiega Albanese. “Vi sono diverse possibili spiegazione per tale carenza di evidenza. I supplementi dietetici di vitamina E tradizionalmente contengono solo alfa-tocoferolo, la forma biologicamente più attiva della vitamina E; tuttavia, il gamma-tocoferolo è la forma più abbondante nella dieta negli Stati Uniti. Mentre l’alfa-tocoferolo è un potente antiossidante, il gamma-tocoferolo ha anche proprietà antiinfiammatorie.”
Studi recenti suggeriscono che l’assunzione combinata delle otto diverse forme di tocoferolo riduce lo stress ossidativo e l’infiammazione in misura maggiore del solo alfa-tocoferolo.
“Pertanto, la possibilità che la vitamina E abbia una benefica azione preventiva è difficile da dimostrare a causa dell’elevato numero di variabili che intervengono nel disegno sperimentale delle ricerche epidemiologiche umane”, conclude il professore.
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