L’ipertensione arteriosa è una condizione che si verifica in presenza di un’elevata pressione sanguigna nelle arterie e coinvolge circa il 30-45% della popolazione mondiale. Diagnosticarla precocemente è fondamentale, perché se misconosciuta e quindi non trattata, può portare a ictus, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca, insufficienza renale e malattia delle arterie periferiche.
L’ipertensione arteriosa, infatti, non è una malattia, ma un fattore di rischio, una condizione che aumenta la probabilità che si verifichino altre malattie cardiovascolari. Per questo, le linee guida internazionali raccomandano di calcolare il rischio cardiovascolare globale per ciascun paziente, al fine di individuare il miglior trattamento per ognuno di essi.
Ne abbiamo parlato con il dott. Beniamino Rosario Pagliaro, cardiologo presso l’Istituto Clinico Humanitas, Humanitas San Pio X e l’ambulatorio Humanitas Medical Care Rozzano – Fiordaliso.
Come si riconosce l’ipertensione arteriosa?
L’ipertensione arteriosa non è sempre collegata a sintomi specifici (non sempre l’aumento dei valori pressori manda segnali ai pazienti) e, in alcuni casi, questi sono sottovalutati dal paziente perché imputati ad altre situazioni. È pertanto una condizione subdola, che i nostri colleghi americani definiscono “Silent Killer”. I sintomi più comuni possono essere rappresentati da:
· mal di testa
· vertigini
· sensazione di stordimento
· ronzii nelle orecchie
· problemi di vista
· perdita di sangue dal naso
Come faccio a capire se ho l’ipertensione arteriosa?
Non essendo associata a sintomi specifici, è fondamentale, al fine di diagnosticarla precocemente, sottoporsi periodicamente ad una misurazione della pressione arteriosa.
Generalmente, i valori vengono considerati normali quando sono compresi entro i 140/90 mmHg. La pressione sistolica, o massima, è quella prodotta dalle contrazioni del cuore per pompare il sangue delle arterie (di norma si assesta su un valore pari o inferiore a 140 mmHg); mentre la pressione diastolica, o minima, si misura tra due contrazioni, quando il cuore si trova nella fase di riempimento del sangue da pompare (i valori normali sono pari o inferiori a 90 mmHg).
Pertanto, si parla di ipertensione quando uno o entrambi i valori sono costantemente superiori alla norma.
Quando è necessario richiedere l’auto-misurazione domiciliare o il monitoraggio nelle 24 ore?
In genere, l’ipertensione arteriosa essenziale, ovvero non correlata a cause secondarie (più frequente in età giovanile), riguarda soggetti al di sopra dei 60 anni e nelle donne in età post-menopausale. In realtà, è consigliabile conoscere i propri valori di pressione arteriosa anche ad età inferiori, poiché non è esclusa una presentazione anticipata di ipertensione. In caso di valori di pressione arteriosa borderline (pressione arteriosa sistolica 130-139 mmHg e/o pressione arteriosa diastolica 85-89 mmHg) è consigliabile eseguire un diario pressorio mediante l’automisurazione domiciliare, con misurazioni effettuate in orari diversi della giornata, per un periodo di circa 15-30 giorni. In associazione, è utile effettuare anche un monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore, il quale ci informa dei valori medi pressori giornalieri, tenendo conto anche della pressione arteriosa notturna, individuando i soggetti a più alto rischio in cui la pressione arteriosa non presenta il fisiologico calo notturno (“non dippers”).
L’insieme di questi dati, aiuta il clinico a formulare una diagnosi corretta di ipertensione arteriosa ed attuare quindi i trattamenti adeguati.
Perché è importante valutare il rischio cardiovascolare?
Valutare il rischio cardiovascolare globale di un soggetto è di fondamentale importanza, per varie motivazioni. In primis perchè, la coesistenza di più fattori di rischio cardiovascolare (es. fumo, dislipidemia, diabete mellito, obesità, familiarità), aumenta esponenzialmente il rischio globale del soggetto stesso di sviluppare eventi cardio- e cerebrovascolari acuti. Inoltre, una corretta stima del rischio cardiovascolare globale della singola persona, permette di impostare un regime di trattamento adeguato (incluse le modifiche dello stile di vita), ritagliato sul rischio specifico di quella persona. Al fine di stimare la probabilità di rischio che un soggetto apparentemente sano sviluppi un evento cardiovascolare fatale o non fatale a 10 anni, sono a nostra disposizione delle carte del rischio cardiovascolare basate sugli algoritmi SCORE2 (per soggetti di età compresa tra i 40 e i 69 anni) e SCORE2-OP (per soggetti di età compresa tra i 70 e gli 89 anni), le quali tengono conto dell’età, del sesso e dei fattori di rischio del soggetto, tra cui i valori di pressione arteriosa, l’abitudine tabagica, i livelli di Colesterolo non-HDL e del Paese di provenienza. Quest’ultimo parametro si riferisce alla suddivisione dei Paesi in quelli a rischio basso, moderato (tra i quali è compresa l’Italia), elevato e molto elevato. Un trattamento a se stante meriterebbe la presenza di diabete mellito, che di per sé, pone il soggetto in una categoria di rischio cardiovascolare più elevata e per tale motivo esistono delle linee guida specifiche di recente pubblicazione. Le carte del rischio sono contenute nelle linee guida europee della prevenzione cardiovascolare e sono facilmente reperibili e consultabili anche online sul sito della società europea di cardiologia.
In alternativa, il rischio cardiovascolare globale basato sugli algoritmi SCORE2 e SCORE2-OP, si può facilmente calcolare mediante il calcolatore disponibile online all’indirizzo https://www.heartscore.org/en_GB/heartscore-europe-risk-regions o mediante apposita App ‘ESC CVD Risk Calculation’ disonibile sia su App Store che Google Play. Sulla base degli algoritmi sopradescritti, i soggetti apparentemente sani, sono considerati a rischio basso/moderato quelli con rischio di sviluppare eventi cardiovascolari fatali e non a 10 anni <2.5% per età <50 anni, <5% per età compresa tra i 50 e 69 anni, e < 7.5% per età > o uguale a 70 anni. Di contro, sono considerati a rischio elevato i soggetti < 50 anni con rischio compreso tra 2.5% e 7.5%, quelli di età compresa tra i 50 e 69 anni con rischio compreso tra 5% e 10% e quelli di età > o uguale 70 anni con rischio compreso tra 7.5% e <15%. Infine, sono considerati a rischio molto elevato i soggetti < 50 anni con rischio > o uguale a 7.5%, quelli di età compresa tra i 50 e 69 anni con rischio > o uguale 10% e quelli di età > o uguale 70 anni con rischio > o uguale al 15%.
Quando bisogna iniziare la terapia farmacologica?
Quando la diagnosi di ipertensione arteriosa è confermata, in genere, almeno nei pazienti a basso rischio cardiovascolare (vedi sopra) e con Grado 1 di ipertensione arteriosa (valori di pressione arteriosa sistolica compresi tra 140 e 159 mmHg e/o pressione arteriosa diastolica compresi tra 90 e 99 mmHg), il primo approccio è quello di effettuare delle modifiche dello stile di vita (es. dieta povera di sale, attività fisica aerobica costante, astensione dal fumo, perdita di peso corporeo, etc.), che di per sé aiutano a ridurre i valori di pressione arteriosa. Qualora i valori di pressione arteriosa rimanessero ancora elevati (>140/90 mmHg) nonostante le modifiche dello stile di vita, è necessario iniziare un trattamento farmacologico. Viceversa, nei soggetti a rischio cardiovascolare più alto (vedi sopra) e/o nei pazienti con valori più elevati di ipertensione arteriosa al momento della diagnosi (Grado 2: valori di pressione arteriosa sistolica compresi tra 160 e 179 mmHg e/o pressione arteriosa diastolica compresi tra 100 e 109 mmHg; Grado 3: valori di pressione arteriosa sistolica > o uguale a 180 mmHg e/o pressione arteriosa diastolica > o uguale a 110 mmHg) e/o soggetti in cui è già presente un danno d’organo correlato all’ipertensione, le Linee Guida attuali consigliano l’inizio di una terapia farmacologica fin da subito, associata alle modifiche dello stile di vita.
Quali farmaci vengono impiegati per curare l’ipertensione arteriosa?
Ad oggi, sono a nostra disposizione una miriade di farmaci antipertensivi, più o meno efficaci, appartenenti a diverse classi farmacologiche. Farmaci di prima linea appartengono alle classi degli ACE inibitori e sartani, associati o meno a farmaci calcio-antagonisti o diuretici. I farmaci beta-bloccanti sono spesso utilizzati nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, soprattutto nei casi in cui questi farmaci trovano indicazione per altri motivi clinici (es. in pazienti affetti da cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, etc.). Nei casi di ipertensione arteriosa resistente, si può ricorrere a classi di farmaci considerati di seconda linea, come i farmaci antagonisti dei recettori mineralcorticoidi o gli alfa-litici. In virtù di questa vasta gamma di farmaci a nostra disposizione, è importante rivolgersi ad uno specialista cardiologo al fine di ricevere il trattamento più adeguato, ritagliato sul singolo paziente. Un discorso a parte merita l’ipertensione arteriosa nelle donne in gravidanza, che deve essere gestita come condizione a sé stante, e trattata mediante farmaci specifici non dannosi per il feto.
Esistono terapie alternative dell’ipertensione arteriosa?
Negli anni passati, diverse terapie alternative non farmacologiche sono state proposte per l’ipertensione arteriosa, soprattutto dedicate ai pazienti affetti da ipertensione arteriosa resistente alla terapia farmacologica. Tuttavia, nessuna di queste ha dimostrato risultati soddisfacenti in termini di efficacia, per cui al momento queste non sono indicate dalle Linee Guida internazionali. Un’attenzione particolare merita la procedura di denervazione renale percutanea, la quale inizialmente ha mostrato risultati contrastanti riguardo la sua efficacia pur risultando fattibile in termini di sicurezza. Dati recenti, suggeriscono l’efficacia della denervazione renale nel ridurre i valori di pressione arteriosa ambulatoriale, in associazione o meno alla terapia farmacologica. Si stima che la riduzione media di 10 mmHg della pressione arteriosa ambulatoriale riduca l’incidenza di eventi cardiovascolari del 25-30%. Ad oggi, questa procedura risulta quindi un’arma terapeutica in più, da poter utilizzare in una popolazione di pazienti adeguatamente selezionata.
A quali valori deve essere ridotta la pressione arteriosa?
I valori target di pressione arteriosa possono essere differenti a seconda dell’età e del rischio cardiovascolare globale del paziente. In generale, è consigliato di raggiungere dei valori di pressione arteriosa domiciliari < 130/80 mmHg secondo le ultime linee Guida. Tuttavia, nei soggetti ultraottantenni sono accettabili, come target, valori di pressioni arteriosa sistolica compresi tra i 130 e i 139 mmHg e diastolica tra i 70 e 79 mmHg.
La terapia deve essere mantenuta per tutta la vita?
Effettuare i controlli periodici mediante la misurazione domiciliare della pressione arteriosa e/o il monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore, è fondamentale per sapere se la terapia farmacologica assunta e/o le modifiche dello stile di vita applicate sono state efficaci nel ridurre i valori di pressione arteriosa ai livelli desiderati. Nei casi diagnosticati e quindi trattati precocemente, soprattutto nei pazienti a rischio intermedio e basso che hanno effettuato modifiche importanti dello stile di vita, ottenendo valori target di pressione arteriosa e controllando in maniera ottimale anche gli altri fattori di rischio cardiovascolare associati, è possibile anche sospendere la terapia farmacologica, laddove iniziata, e non esser costretti ad assumere la terapia per tutta la vita.
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