Come trattare i disturbi psichici e comportamentali associati alla demenza (BPSD)

Uno degli aspetti più critici ed impegnativi delle demenze è rappresentato dalla presenza di svariati disturbi psichici e del comportamento che rendono drammaticamente più difficile la gestione dei pazienti, compromettendo la loro qualità di vita e, talora, l’equilibrio di chi gli sta accanto.

Si tratta di una numerosa coorte di sintomi, come deliri, allucinazioni, episodi di aggressività̀ nei confronti di badanti e familiari, turpiloqui, inversione del ritmo sonno-veglia, apatia, vagabondaggio e fughe da casa, definiti oggi con l’acronimo BPSD, ovvero Behavioral and Psycological Symptoms of Dementia.

Ce ne parla il dottor Giovanni Cuccia, neurologo presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care di Monza.

Dottore, questi disturbi sono molto frequenti?

In alcune statistiche arrivano a colpire più del 90% dei soggetti affetti da Alzheimer e altre demenze. Nell’esperienza clinica quotidiana di noi neurologi sono una delle sfide più difficili con cui dobbiamo quotidianamente confrontarci e rappresentano uno degli aspetti più interessanti nella cura delle demenze.

Infatti, se da una parte non abbiamo ancora un farmaco approvato che agisca sulla storia naturale della malattia (magari rallentandola) facendoci vivere la stessa frustrazione che vivono pazienti e familiari; dall’altra, nel campo dei disturbi del comportamento, oggi abbiamo numerose armi, più o meno efficaci, che possono realmente alleviare il disagio e migliorare la qualità di vita dei pazienti e di chi li cura (i cosidetti caregiver).

Può essere più chiaro? In cosa consistono questi BPSD?

Penso sia esperienza comune di chi ha un soggetto con demenza a casa di vederlo spesso aggressivo, specie quando deve per esempio essere lavato; allo stesso modo capita spesso che, nel pomeriggio quando inizia a calare il sole, il proprio familiare diventi confuso, irritabile, chieda insistentemente di andare a casa (anche se in realtà è proprio quella la sua casa) arrivando anche ad uscire in maniera forzata con conseguente grave rischio per la propria incolumità.

Nelle forme più lievi può venir fuori quella che viene definita apatia, ovvero l’assoluta mancanza di volontà e passioni; il paziente tende a stare inerte per gran parte del giorno, incapace di prendere qualsiasi decisione o intraprendere qualsiasi attività.

Agli estremi stanno anche comportamenti assolutamente bizzarri, quali prendere le proprie feci e spargerle sui muri, urinare per casa, insultare con parole volgari il coniuge sempre tanto amato, l’incapacità ad addormentarsi con grida e agitazione notturna che possono perdurare anche per giorni, senza sosta, in maniera inesauribile.

Cosa possiamo fare in questi casi?

Come avete ben capito il quadro non è assolutamente semplice. Il punto da cui iniziare e attorno a cui ruota tutto, è stabilire un’alleanza terapeutica tra medico e familiare di riferimento. Il percorso sarà sicuramente pieno di ostacoli e di cadute ed è essenziale camminare assieme e lasciarsi guidare con tanta tanta pazienza.

In questo percorso abbiamo a disposizione due tipi di strategie terapeutiche una delle quali prevede l’utilizzo di alcuni farmaci.

Inizierei però da quella più importante, ovvero quella che prevede interventi di tipo comportamentale e ambientale senza utilizzare psicofarmaci.

In cosa consistono questi interventi?

Esistono decine di metodiche che possono essere utilizzate nei soggetti con demenza e che non prevedono l’utilizzo di terapie farmacologiche.

Senza avere la pretesa di essere esaustivi posso citare la terapia della luce, la massoterapia, la stimolazione cognitiva, la terapia di gruppo per la reminiscenza, la PET therapy (quella con gli animali domestici), i giardini sensoriali e l’ortoterapia, la danza terapia e la musicoterapia.

Come funzionano invece le terapie farmacologiche?

Sono molteplici e prevedono  l’utilizzo di molti farmaci, tra i quali un ruolo fondamentale è svolto dai neurolettici, che tendono a calmare e tranquillizzare il soggetto affetto. Purtroppo, molti di questi sono utilizzati sempre “off label”, ovvero senza un’indicazione chiara nella scheda farmacologica anche se i dati di efficacia in letteratura sono molto solidi.

L’inconveniente di questi farmaci è che sono spesso gravati da importanti effetti collaterali, con una risposta imprevedibile per cui all’inizio sembra che non facciano effetto e magari dopo qualche giorno ti ritrovi il paziente che dorme giornate intere. Il paradosso è che un farmaco che dovrebbe calmare può in certi casi provocare maggiore agitazione.

In sintesi, i farmaci andrebbero utilizzati solo nei casi più impegnativi (per esempio grave aggressività, allucinazioni o deliri che rendono il paziente drammaticamente infelice, etc…) e gravi, mantenendo il minimo dosaggio efficace e sospendendoli non appena possibile.

Concludendo, qual è il suo atteggiamento terapeutico nei confronti di chi soffre di BPSD?

Nella mia pratica clinica inizio sempre dall’osservazione dell’ambiente in cui vive. Spesso, infatti, la gravità dei disturbi del comportamento dipende più da variabili legate a chi assiste il paziente piuttosto che al paziente stesso.

In maniera molto concreta posso riassumere la strategia nei seguenti cinque punti:

  1. Evitare discussioni o litigi fra i familiari innanzi al paziente che spesso comprende molto di più di quello che appare;
  2. Avere il coraggio di delegare l’assistenza anche ad estranei se i disturbi del paziente determinano nel familiare ansia, rabbia o depressione. Allo stesso modo può succedere che il familiare evochi nel paziente rabbia o malessere, magari per conflitti passati irrisolti e tenuti sopiti. In tal caso molto meglio un passo indietro piuttosto che perseverare in quello che diventa un gioco al massacro reciproco
  3. Fare in modo che l’ambiente sia silenzioso, confortevole, privo di stimoli stressanti (per esempio bambini che gridano, molte persone a casa, etc); il paziente con demenza ha bisogno di pochi punti di riferimento e stabili;
  4. Evitare in ogni modo i cambiamenti di ambiente interrompendo quell’insana abitudine di portare il paziente tra le case dei figli alternando le settimane di assistenza; molto meglio lasciare il paziente nella propria abitazione avvicendandosi;
  5. Cercare in ogni modo di non contraddire o di ricondurre alla ragione chi purtroppo è solo confuso e incapace di ragionare; spesso si tende purtroppo a non accettare la malattia e si prova in ogni modo a convincere il paziente che quello che dice non ha senso. Questo atteggiamento alla fine ha solo l’effetto di peggiorare la frustrazione e l’aggressività. Meglio spesso tacere e accondiscendere con un sorriso.

Accanto a questi 5 punti è essenziale un esame fisico del paziente valutando la presenza di fonti di dolore (per esempio artrosi, artriti, lesioni ossee), di ritenzione urinaria o fecale, tutti fattori che possono dare agitazione come espressione di una sofferenza fisica. Spesso infatti l’anziano demente, proprio come un bambino che piange, non riesce ad esprimere verbalmente l’origine della propria sofferenza e la manifesta con grida e aggressività. Risolvendo e curando il dolore, quasi per incanto il paziente si calma.

Un’ultima osservazione per quanto riguarda il ruolo della musicoterapia, argomento a me molto caro. Nella mia esperienza ho più volte consigliato di far risuonare in sottofondo l’aria e la settima variazione Goldberg di Bach; i risultati sono finora stati al di là delle mie aspettative e sto cominciando a consigliare in maniera sistematica quello che all’inizio era solo un tentativo quasi disperato.

Concludo invitandovi a considerare che il demente è quasi sempre una persona che non ha più punti di riferimento, smarrita, disorientata e fragile.

Noi medici dobbiamo spesso tentare di restare a galla in un mare ricco di insidie, cercando di ripristinare quel fragile equilibrio relazionale tra le esigenze del paziente e quelle dei familiari, equilibrio che la malattia ha distrutto in maniera implacabile, cercando di ottenere il miglior compenso comportamentale possibile senza creare dei danni, con la consapevolezza che tutto potrebbe improvvisamente degenerare e crollare.

Quando vedo un anziano demente che grida e sbraita contro tutto e tutti, cerco sempre di immaginare quell’uomo o quella donna da giovane, con le sue emozioni, le sue paure, le sue passioni, i suoi momenti felici. Dobbiamo imparare a guardare oltre i suoi tormenti e fare di tutto per restituirgli, almeno, un pizzico di inconsapevole serenità.

Neurologia
Dottore Giovanni Cuccia
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