Tenere con sé degli oggetti per ricordo è del tutto normale. Anche se sono vecchi, rotti e non servono più a nulla, perché possono rappresentare un ricordo, una persona che non c’è più o un momento particolare della nostra vita. Tuttavia, quando il bisogno di tenere questi beni senza gettarli via (o di comprarli senza utilizzarli), arriva a limitare la nostra attività di tutti i giorni, a partire dall’igiene, alla pulizia della casa o al riposo (spesso l’accumulo impedisce persino di riuscire a girare per casa), questo atteggiamento diventa patologico. Si chiama disposofobia e indica un vero e proprio disturbo da accumulo.
Ce ne parla la Dott.ssa Paola Mosini, psicologa presso il centro Psico Medical Care di Humanitas.
Perché non riesco a buttare via niente?
Chi soffre di un disturbo da accumulo ha paura di buttare via tutto ciò che colleziona, perché pensa che un domani possa tornare utile o accrescere il proprio valore economico o affettivo. Spesso, queste persone, hanno un forte attaccamento emotivo nei confronti di questi oggetti e cercano di avere un controllo su di essi, impedendo a chiunque di toccarli o buttarli. Il solo pensiero gli genera ansia e angoscia, per questo non viene mai attuato: sia per il timore di prendere la decisione sbagliata, sia per l’incapacità a distaccarsi dagli oggetti, anche se poi vengono abbandonati nel degrado e finiscono con l’accumularsi intorno a loro.
Come faccio a capire se ho davanti un accumulatore seriale?
Esistono alcuni segnali che i familiari possono notare e che possono essere sufficienti per rivolgersi a uno specialista:
- presenza di discussioni familiari causate da eccessive “cose in casa” che generano disordine;
- eccessiva tendenza a fare scorte;
- difficoltà nella gestione economica della casa;
- tendenza alla procrastinazione di comportamenti di riordino;
- riduzione delle relazioni sociali fino al ritiro.
Nonostante questa condizione crei un disagio importante per il paziente, spesso sono i familiari a richiedere l’intervento dello specialista, perché spesso subiscono in prima persona gli effetti di queste condotte.
Perché è importante riconoscere precocemente un accumulatore seriale?
Un intervento precoce permette di prevenire l’aggravamento di condizioni cliniche sottosoglia che col tempo possono peggiorare e arrivare a compromettere non solo il benessere psicologico di una persona ma anche quella dei suoi familiari.
Come si guarisce dalla disposofobia?
In caso di un disturbo di accumulo, è importante rivolgersi a degli specialisti, psichiatra e psicoterapeuta. Fare un’azione estrema, come quella di svuotare fisicamente la casa, non solo non risulta utile ma può scatenare reazioni avverse.
Cosa può fare lo psicologo per la disposofobia?
La disposofobia prevede una terapia psicologica e farmacologica. Nel primo caso, il trattamento d’elezione, è la terapia cognitivo comportamentale che spesso include anche una fase psicoeducazionale dove lo specialista aiuta il paziente (e i suoi familiari) ad avere una maggior consapevolezza di malattia.
È importante far comprendere al paziente che molto spesso è presente una componente biologica nell’origine di tale disturbo: questo permetterà di riscattare, almeno in parte, l’immagine negativa del paziente che spesso si è strutturata nel tempo.Per far sì che l’intervento vada a buon fine è necessario costruire fin da subito una solida alleanza terapeutica tra i soggetti coinvolti, per costruire un percorso mirato e stabilire obiettivi condivisi.
Come avviene il percorso terapeutico?
Il percorso terapeutico per disposofobia avviene attraverso alcuni passaggi fondamentali:
- intervenendo sulle credenze disfunzionali dei pazienti legate all’accumulo;
- aumentando la consapevolezza della malattia (insight) e dei comportamenti disfunzionali ad essa associati;
- sviluppando abilità di decision making;
- gestendo e prevenendo gli impulsi all’accumulo;
- intervenendo sulle relazioni familiari.
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