Sono tanti i pazienti che decidono di rivolgersi al neurologo per problemi di memoria, sottovalutando il fatto che spesso, questa sintomatologia, può essere la spia di un problema diverso, come la depressione.
L’avanzare dell’età può essere infatti un passaggio molto delicato per alcune persone e non tutte riescono ad affrontarlo nel modo giusto. Un approccio multidisciplinare è fondamentale per riuscire a far emergere il problema e seguire il paziente nel migliore dei modi, partendo dalla giusta diagnosi.
Ce ne parlano il dott. Gianluigi Mansi, psichiatra, la dott.ssa Elisa Morrone, psicologa neuropsicologa, il dott. Francesco Brovelli, neurologo, dell’istituto Humanitas Medical Care De Angeli.
Che cos’è la depressione?
“La depressione è un’importante patologia della psiche caratterizzata da abbassamento del tono dell’umore con sentimenti di tristezza, pessimismo, vuoto esistenziale, incapacità a provare emozioni, stanchezza fisica, rallentamento psico-motorio, riduzione delle capacità di coordinare pensieri e azioni, ipocondria e, nelle forme più gravi, deliri di colpa e di rovina e comparsa di idee autolesive”, dichiara il dott. Mansi. “Non deve essere confusa con la tristezza (vissuto temporaneo e meno profondo che può cogliere tutti noi), lo scoraggiamento o la delusione esistenziale che non hanno caratteristiche di patologia e fanno parte del vivere quotidiano. La depressione è una patologia complessa che deve essere diagnosticata con precisione e poi curata”, conclude il dott. Mansi.
Come si manifesta in età avanzata?
“Le caratteristiche della depressione, e più in generale del calo dell’umore in età avanzata sono molto differenti da quelle dei soggetti giovani”, commenta la dott.ssa Morrone. “In età avanzata il paziente si concentra molto di più sulle sensazioni somatiche: problemi intestinali, dolori articolari, cefalea, stanchezza fisica, difficoltà di memoria, di concentrazione, e spesso sono proprio questi sintomi e malesseri a portare il paziente a chiedere aiuto. A volte si presenta apatia, ovvero mancanza di piacere nel fare le cose, il paziente tende al ritiro sociale, riferisce di far fatica fisicamente a far tutto perché ha dolori alle gambe, perché non ha più l’età, perché non può più fare determinate cose, ma in realtà così facendo entra nel circolo vizioso della depressione: Meno cose faccio, meno cose vorrò fare, più fatica faccio e di conseguenza più rinunce.
Tale meccanismo non fa altro che peggiorare da un lato in quadro emotivo ma dall’altro anche quello cognitivo perché anche il nostro cervello, la nostra memoria insieme a tutte le funzioni cognitive hanno bisogno di essere stimolate quotidianamente per restare efficienti”, continua la dott.ssa Morrone.
“Il Covid, il lockdown e la paura che ha generato per i contatti sociali ha sicuramente peggiorato il quadro clinico di chi aveva già un deficit cognitivo o un disturbo dell’umore ma ha anche aumento la percentuale di pazienti che hanno sviluppato tali disturbi sia per il ritiro sociale forzato, sia per il meccanismo di protezione che è scattato in tutti noi nel proteggere i nostri anziani che sostanzialmente ci ha portato a lasciarli soli”, conclude la specialista.
Quale legame c’è con i disturbi di memoria?
“I disturbi dell’umore possono manifestarsi con quadri clinici che entrano in diagnosi differenziale con i disturbi cognitivi”, aggiunge il dott. Brovelli. “Per esempio, l’ipomania o la mania che si presentano in alcune patologie psichiatriche possono simulare un quadro di demenza frontale, mentre una sintomatologia depressiva importante può associarsi a disturbi di memoria simili a quelli della malattia di Alzheimer o di alcune demenze vascolari. Bisogna poi tenere in considerazione che in molte malattie neurodegenerative è stata riportata un’associazione con disturbi dell’umore, sia precedenti lo sviluppo dei disturbi cognitivi che successivi (spesso reattivi alla patologia neurologica)”, conclude il neurologo.
Come capire se è un disturbo di memoria legato a Problemi neurologici o psicologici?
“La diagnosi differenziale non è semplice”, continua il dott. Brovelli. “Un’attenta visita neurologica risulta fondamentale, anche se spesso nelle prime valutazioni i quadri psichiatrici possono risultare molto simili a quelli determinati da una malattia neurodegenerativa. L’imaging cerebrale (Risonanza magnetica o TAC) fornisce un significativo aiuto nel processo diagnostico, poiché in assenza di alterazioni strutturali tende ad orientare verso un quadro psichiatrico. Altri aspetti da tenere in considerazione sono la risposta positiva del disturbo cognitivo ad un trattamento psico-farmacologico e la stabilità (o il miglioramento) dello stesso alle visite di controllo”.
Come posso trattare la depressione in età adulta?
“La terapia delle depressioni ha due pilastri fondamentali: la farmacoterapia e la psicoterapia”, risponde il dott. Mansi.
“Nelle depressioni medio – gravi l’intervento farmacologico con antidepressivi è fondamentale: serve a controllare e poi ridurre l’intensità dei sintomi e riorganizzare alcuni parametri vitali (sonno, alimentazione, capacità cognitive). Accanto agli antidepressivi, che rappresentano la categoria fondamentale, spesso vengono utilizzati, a seconda della complessità del quadro clinico, farmaci ansiolitici, equilibratori del tono dell’umore, neurolettici di seconda generazione. Differenze di risposta ai farmaci, determinate dal genere, età, razza, caratteristiche recettoriali sono elementi attualmente allo studio per personalizzare e rendere sempre più efficace la risposta ai farmaci.
Fondamentale è anche l’intervento psicoterapico che permette una personalizzazione, una comprensione, una dialettica con il quadro depressivo a cui viene dato un senso, all’interno della storia del paziente e che può insegnare strategie cognitive e comportamentali per contrastare la patologia depressiva. Altri interventi possono essere utili: i gruppi, di psicoterapia e di autoaiuto, l’attività fisica, le strategie riabilitative con educatori per il reinserimento sociale e lavorativo”, conclude lo psichiatra.
E i disturbi di memoria legati a disturbi neurologici?
“Allo stato attuale” dichiara il dott. Brovelli, “il trattamento farmacologico dei disturbi di memoria ha indicazione unicamente nella malattia di Alzheimer e prevede l’utilizzo di molecole che sono in grado di mantenere stabili le performance cognitive per un periodo variabile di tempo (i.e. inibitori dell’Acetilcolinesterasi e Memantina -antagonista recettore NMDA-). Tuttavia, negli ultimi anni, sempre più studi di validazione e individuazione di nuove terapie si sono concentrati su nuovi trattamenti, fino ad arrivare alla selezione di alcuni anticorpi monoclonali (Aducanumab, Lecanemab, Donanemab) ad azione contro la beta-amiloide depositata a livello cerebrale nei pazienti con malattia di Alzheimer; i risultati degli studi sembrano promettenti nel ridurre la progressione di malattia. Per esempio, il Lecanemab sembra essere efficace nel ridurre la progressione del declino cognitivo a 18 mesi, ma sono necessari ancora altri studi per arrivare all’approvazione di queste molecole in Europa. Quando non c’è l’indicazione ad assumere la terapia farmacologica specifica, si può ricorrere all’utilizzo di nutraceutici e farmaci psicostimolanti, che forniscono supporto ai neuroni e sono in grado di stimolare le funzioni cognitive”, conclude lo specialista.
In cosa consiste l’approccio cognitivo comportamentale e la riabilitazione cognitiva?
“L’approccio cognitivo comportamentale”, dichiara la dott.ssa Morrone, “è un percorso psicologico per il trattamento della depressione che anche in età avanzata risulta essere efficace. Ha il duplice obiettivo di insegnare al paziente a capire proprio come funziona il circolo vizioso della depressione e stimolare il paziente a riprendere la propria quotidianità, seppure modificata in base all’età.
La riabilitazione cognitiva, è un trattamento di stimolazione delle funzioni cognitive (memoria attenzione, ragionamento, programmazione) indicato per i pazienti che soffrono di demenza sia in fase iniziale che avanzata: ha sostanzialmente l’obiettivo di insegnare al paziente come funziona il nostro cervello, insegnare strategie diverse al fine di utilizzare le funzioni cognitive in modo appropriato e continuare ad allenarle.
Una ricerca pubblicata su Lancet, prestigiosa rivista scientifica, pone l’accento proprio sull’importanza dell’approccio multidisciplinare a tale disturbo che interessa circa il 1-5% degli anziani, se parliamo di depressione maggiore,percentuale che raddoppia per gli over 70enni.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale e la terapia farmacologica per la depressione associati alla riabilitazione cognitiva per la memoria risultano efficaci nel migliorare la qualità di vita dei pazienti e soprattutto ridurre l’impatto che il calo dell’umore ha sulle funzioni cognitive”, e viceversa, conclude la psicologa. In questo studio si parla anche della sensibilizzazione e coinvolgimento dei medici di famiglia nella gestione di tale disturbo, ma soprattutto nella individuazione dei segnali target coinvolgendo anche i familiari”.
Il supporto della famiglia, la solitudine incidono su questi disturbi?
“La depressione è una patologia complessa che suggerisce sovente al paziente idee di incurabilità, di colpa, di inutilità esistenziale”, commenta il dott. Mansi che aggiunge: “I familiari rappresentano un aiuto indispensabile nel progetto di cura: l’essere accanto al paziente, il favorire la sua adesione ai programmi di cura, il decolpevolizzarlo, l’aiutarlo a vincere il sentimento di essere solo, ultimo, dimenticato, colpevole sono elementi indispensabili.
I miglioramenti sono comunque lenti: occorre pazienza e perseveranza terapeutica; occorre ricordare al paziente che le depressioni sono curabili e per lo più guaribili completamente. Occorre anche dare una mano ai familiari, per il complesso sforzo emotivo a cui sono sottoposti”, conclude lo specialista.
“Capita spesso in ambulatorio il paziente che arriva per un problema di memoria ma che in realtà ha un problema di umore del quale non si rende conto. L’approccio multidisciplinare è fondamentale per eseguire una diagnosi corretta, scegliere la terapia personalizzata e seguire il paziente in una fase di vita complicata come quella dell’età avanzata che per certi versi possiamo forse paragonare all’adolescenza”, concludono gli specialisti.
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