Nel corso degli ultimi tre decenni si è sviluppato un crescente interesse verso l’utilizzo delle pratiche meditative; in particolare, la ricerca scientifica si è concentrata verso lo studio degli effetti della pratica mindfulness, con risultati empirici che ne sostengono l’efficacia sia per accrescere il benessere della persona sia per diminuirne il malessere (Chiesa & Serretti, 2009; Holzel 2010).
Ce ne parla il dott. Giacomo Calvi Parisetti, psicologo-psicoterapeuta e istruttore mindfulness presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Murat a Milano, e presso il centro Psico Medical Care di Humanitas.
Cosa significa avere consapevolezza di sé?
L’origine della ricerca della consapevolezza affonda le sue radici in numerose tradizioni antiche, risalenti ad un periodo compreso tra 2800 e 2200 anni fa, e collocate in un vasto territorio che spazia dalla Grecia fino alla Cina.
I contributi sono riscontrabili in numerosi scritti ed insegnamenti, fra cui il monoteismo di Zarathustra in Persia, il Giainismo di Mahavira e Parshva, il Buddhismo in India, il Confucianesimo e il Taoismo in Cina, gli insegnamenti dei profeti ebraici in Palestina e la filosofia greca (Amadei, 2013).
In particolare, la dottrina e la pratica meditativa buddista costituiscono probabilmente la tradizione che più di tutte incarna ed esplicita il tema della consapevolezza. Uno dei primi riferimenti al concetto di consapevolezza è rintracciabile, infatti, nel Satipatthana Sutta, ossia il grande discorso sui fondamenti della presenza mentale, attribuito al Buddha, nel quale viene descritto il metodo universale per uscire dalla sofferenza attraverso la meditazione vipassana. In tale scritto viene esposta la dottrina delle quattro nobili verità (la verità sul dolore, la verità dell’origine del dolore, la verità della cessazione del dolore, la verità della via che porta alla cessazione del dolore) e l’ottuplice sentiero della liberazione (retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto modo di vita, retto sforzo, retta presenza mentale, retta concentrazione).
La parola mindfulness è la traduzione inglese della parola “sati” che in lingua pali (lingua indiana nella quale sono stati originariamente riportati gli insegnamenti del Buddha) significa consapevolezza, attenzione, “presenza mentale”. Solitamente in italiano il termine non viene tradotto poiché si riferisce prima di tutto ad un’esperienza diretta difficile da descrivere a parole, che implica consapevolezza e attenzione ma in maniera particolare (Giommi, 2012).
Cos’è la Mindfulness?
Essa può essere descritta come uno stato mentale che equivale all’osservazione dell’esperienza presente, in cui l’individuo prova ad accogliere tutto ciò che si presenta nel qui ed ora, così com’è, sospendendo quelli che sono gli abituali meccanismi di approvazione o rifiuto dell’esperienza stessa. Jon Kabat-Zinn, considerato il pioniere dell’approccio Mindfulness, la definisce come “la consapevolezza che emerge prestando intenzionalmente attenzione, nel momento presente e in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza, momento dopo momento” (Kabat.Zinn, 1990).
Altre definizioni della Mindfulness sono state fornite da Teasdale et al. (2014), secondo cui la Mindfulness è “una modalità dell’essere, non orientata a scopi, il cui focus è il permettere al presente di essere com’è e di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente” e da Bishop et al. (2006): “è l’autoregolazione dell’attenzione, tale da mantenerla sull’esperienza presente, rendendo in tal modo possibile una maggiore capacità di riconoscere gli eventi mentali nel momento presente, adottando un particolare atteggiamento nei confronti della propria esperienza, caratterizzato da curiosità, apertura e accettazione”.
Generalmente in tutte le definizioni o descrizioni della mindfulness si possono riscontrare alcuni concetti trasversali chiave, quali vivere intenzionalmente e con consapevolezza nel momento presente, interrompendo i comportamenti dettati dal pilota automatico, scegliendo in modo consapevole e focalizzando la propria attenzione su ciò che avviene momento per momento, senza ruminare sul passato o rimuginare sul futuro; non giudicare, sospendere il proprio giudizio, accettando ciò che accade nel qui ed ora, senza respingere o controllare pensieri, emozioni o sensazioni indesiderate ma lasciandole scorrere e fluire attraverso l’uso consapevole della propria attenzione (Kabat-Zinn, 2003).
La mindfulness è a tutti gli effetti una pratica, una modalità dell’essere che può essere allenata, così come il maratoneta allena la propria resistenza muscolare e aerobica per arrivare a correre i 42,195 Km della maratona, allo stesso modo, la persona che desidera sviluppare le proprie capacità di mindfulness allena la propria attenzione attraverso costanti esercizi di consapevolezza mentale.
Generalmente la maggior parte delle pratiche di mindfulness implicano una qualche forma di meditazione su cui spesso, in occidente, vi sono idee e pregiudizi errati. Può quindi essere utile definire cosa non è la mindfulness. Uno degli equivoci più comuni consiste nel ritenere come uno degli obiettivi della pratica meditativa quello di avere la mente vuota. Al contrario, la mindfulness è essere consapevoli di ciò che si presenta nella nostra mente istante per istante, allenando la capacità di porre l’attenzione ad un “oggetto” posto nel qui ed ora, come ad esempio il respiro o il corpo. Un secondo errore consiste nel credere che la mindfulness implichi un ritiro spirituale dalla vita, poiché molte delle pratiche meditative sono state sviluppate da monaci o eremiti, vi è spesso lo stereotipo di una rinuncia a una vita piena e ricca di relazioni interpersonali a favore di un ritiro ascetico (Didonna, 2008). La pratica della mindfulness, al contrario, favorisce la partecipazione alle esperienze della vita, permettendo di vivere con maggiore consapevolezza e pienezza il presente.
Un’altra attribuzione, spesso accostata alla meditazione, è la ricerca della felicità. Nonostante sia vero che la mindfulness porti a numerosi benefici tra cui una riduzione dello stress con un conseguente miglioramento del tono dell’umore accompagnato da stati mentali piacevoli, nella meditazione di consapevolezza questi vengono osservati e notati, lasciati scorrere e fluire allo stesso modo degli stati mentali spiacevoli; lo scopo è quello di allenare la nostra attenzione e la nostra consapevolezza ad osservare ciò che si presente nel momento presente, senza trattenere ciò che è piacevole o allontanare ciò che è sgradevole (Shapiro, Carlson, Astin, 2006).
Similmente la mindfulness non si presenta come una via per fuggire il dolore ma piuttosto come una risorsa che favorisce la capacità di sopportarlo e accettarlo. Il dolore viene esperito e osservato favorendo il processo di separazione dalla sofferenza che deriva dalle resistenze e dal rifiuto dell’esperienza stessa, non dal dolore in sé ma dalla reazione nei confronti di quest’ultimo (Kabat-Zinn, 1990).
Come è possibile sviluppare la mindfulness?
Vi sono molteplici forme di pratica per sviluppare, con accettazione, la consapevolezza del momento presente e tutte sono accomunate dalla necessità di essere ripetute con costanza nel tempo. Solitamente la pratica di mindfulness può essere suddivisa in (Didonna, 2013):
- Pratiche informali: ossia provare a svolgere una qualsiasi attività quotidiana con un atteggiamento mindfulness, con consapevolezza, provando a prestare attenzione singolarmente a quello che sto facendo in questo momento. Il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hahn suggerisce numerose tecniche per aumentare la consapevolezza quotidiana, tra cui notare le sensazioni del corpo quando camminiamo, il gusto del cibo mentre mangiamo, osservare le diverse sfumature di colore di una strada o di un prato. Tutte le attività che svolgiamo nel corso della giornata possono prestarsi ad essere svolte con consapevolezza e nel qui ed ora, dal lavarsi i denti fino al semplice gesto di allacciarsi le scarpe.
- Pratiche formali: riguardano gli esercizi che avvengono in un arco di tempo definito, solitamente scandito sia all’inizio sia alla fine da uno o più tocchi di campana tibetana (o simili). Tali pratiche vengono eseguiti osservando le istruzioni specifiche per ogni pratica. La maggior parte di questi esercizi consiste nel focalizzare la propria attenzione su un “oggetto”, come ad esempio il respiro o il corpo, e riportare l’attenzione a tale “oggetto” ogni qualvolta la mente si distrae da esso. Rientrano nelle pratiche formali numerosi esercizi fra cui il body scan, la meditazione seduta sul respiro, la meditazione sui pensieri (le nuvole, le foglie…), la pratica della montagna, la meditazione camminata e molte altre.
- Inoltre vi è una terza categoria relativa alla pratica in ritiro di meditazione, ossia una sorta di “vacanza” interamente dedicata all’esercizio della consapevolezza, in cui vengono alternati prolungati periodi di pratica formale ad occasioni di pratica informale; spesso tali ritiri si svolgono in silenzio, con ridotte interazioni sociali dirette.
Quando può essere applicata la mindfulness?
La prima applicazione della mindfulness risale alla fine degli anni “70, quando il biologo molecolare statunitense Jon Kabat-Zinn decise di mettere a punto un programma strutturato che univa in sé le tecniche millenarie meditative, filosofie e tradizioni di varie culture e aspetti scientifici e psicoeducazionali moderni, per aiutare le persone a ridurre il dolore e lo stress. Nel 1979, con il sostegno del primario di Medicina Interna del Medical Center dell’Università di Worcester (Boston – Massachusetts), fondò la prima Clinica per la riduzione dello stress basata sulla coltivazione della Consapevolezza, dove svilupperà in seguito il programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR).
L’utilizzo della mindfulness in ambito clinico ha rappresentato negli ultimi trent’anni un campo fiorente di studio nel settore della salute mentale e fisica, con un crescente numero di ricerche, libri e articoli scientifici, ogni anno. In particolare, numerosi studi evidence-based hanno individuato nelle pratiche di mindfulness una base per interventi terapeutici efficaci per molteplici disturbi psichici e medici (Didonna, 2012). Nel corso di pochi anni, sulla scorta di un numero notevole di ricerche scientifiche, la mindfulness si è rivelata un importante strumento per migliorare la disregolazione emotiva, il dolore, l’autocontrollo, l’empatia, l’accettazione e molte altre funzioni che sottendono al benessere psico-fisico (Shonin, 2015).
L’adozione e l’integrazione delle pratiche mindfulness hanno mostrato un’efficacia clinica sia nei confronti di patologie psichiatriche e psichiche (depressione, disturbi d’ansia, disturbi alimentari, abuso di sostanze, disturbo borderline, etc.) sia verso disturbi di tipo medico (oncologia, psoriasi, dolore cronico) permettendo lo sviluppo di protocolli e modelli terapeutici tra i quali la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy for OCD (MBCT for OCD), la Mindfulness-Based Relapse Prevention (MBRP) la Dialectical Behaviour Therapy (DBT), l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Compassion Focused Therapy (CFT) e la Metacognitive Therapy (MCT) (Chiesa, Calati, Serretti, 2011).
In conclusione, la mindfulness rappresenta un modo per sviluppare una maggiore consapevolezza e presenza mentale nella vita di tutti i giorni. Attraverso la pratica regolare della mindfulness, è possibile migliorare il benessere psicofisico e favorire una migliore gestione dello stress e delle sfide della vita moderna.
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