I numeri parlano chiaro. Dopo la pandemia da COVID-19 che ha colpito il mondo intero, i casi di disturbi alimentari – specialmente tra le adolescenti – sono aumentati in modo esponenziale. La bulimia nervosa, un disturbo che consiste nell’assumere grandi quantità di cibo per poi liberarsene tramite vomito indotto o lassativi, è tra le più difficili da riconoscere, poiché la maggior parte delle persone è di peso normale o anche leggermente sovrappeso.
Ce ne parla il dott. Andrea Catena, psicologo e psicoterapeuta presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Domodossola a Milano e Humanitas Medical Care Monza e specialista del centro Psico Medical Care.
Verso che età può esordire la bulimia?
In italia, la fascia d’esordio, si assesta tra i 15 ed i 19 anni, nonostante negli ultimi anni la tendenza sia sempre più precoce; fattore che rappresenta un problema di primaria importanza, poiché le conseguenze organiche della bulimia possono portare a danni permanenti ai tessuti che non hanno ancora terminato lo sviluppo.
Perché le adolescenti donne sono le più colpite dalla bulimia?
Si potrebbe ipotizzare una spiegazione sociale o mediatica, in quanto la donna è più esposta ad ideali di “magrezza” associati sempre più spesso a quelli di bellezza; mentre negli uomini la “bellezza” è collegata maggiormente alla tonicità muscolare. Entrano in gioco alcuni fattori come, ad esempio, la pressione sociale, essere magri e appartenere ad una classe sociale elevata (Lindeberg e Hiern, 2003), impiegare molte risorse per raggiungere un ideale di corpo perfetto in termini di bellezza e peso. L’esposizione ai media e l’interiorizzazione di un ideale di magrezza, nonché la pressione sociale, rappresentano fattori di rischio per l’insorgenza e l’aggravamento di un disturbo alimentare. Possono incidere tuttavia anche i motivi legati allo sviluppo puberale, poiché questo è il momento nel quale il cambiamento delle proporzioni corporee femminili è più netto.
Si ritiene, infatti, che i fattori socio-culturali non siano da soli sufficienti a spiegare una così grande differenza di frequenza nei due sessi. Non va quindi tralasciato il ruolo dei fattori genetici, ormonali e neurobiologici. Uno di questi potrebbe essere il ruolo degli ormoni sessuali nella regolazione della serotonina (un importante neurotrasmettitore cerebrale implicato nella regolazione dell’ansia, del tono dell’umore, dell’impulsività e delle sensazioni di fame e sazietà). Alcuni studi hanno rilevato che nel sesso femminile la reazione allo stress produce più frequentemente una alterazione del comportamento alimentare non solo negli esseri umani, ma anche negli animali.
Ad oggi, il modello infatti che meglio spiega l’insorgere del sintomo alimentare è un modello bio-psico-sociale, ovvero una chiave di lettura della psicopatologia che prende in esame l’individuo della sua interezza nelle sue componenti biologiche, psicologiche e sociali.
Quali possono essere i fattori scatenanti?
Non esistono fattori di rischio collegati direttamente allo sviluppo di bulimia, ma possono esserci delle concause (genetiche, biologiche, familiari o sociali) che possono avere un ruolo nel suo sviluppo, come:
· familiarità con disturbi del comportamento alimentare o depressione
· abuso di sostanze
· eventi traumatici o malattie croniche
· insoddisfazione della propria immagine corporea, unita a scarsa e autostima e perfezionismo
· comportamenti dietetici persistenti
· sovrappeso/obesità durante l’infanzia
· episodi di bullismo per la propria forma fisica
Che ruolo giocano i social?
Negli ultimi anni, vi è stato un incremento vertiginoso dei DCA e, in un panorama fortemente connotato dall’uso di internet, non si può non tenere conto dell’aspetto “social” di questo fenomeno. Certo, sarebbe fuorviante e poco aderente alla realtà considerare una patologia complessa come quella dei disturbi alimentari come unicamente causata dall’uso dei social network. Vi sono però alcune problematiche che trovano un terreno particolarmente fertile nei social, come ad esempio il body shaming, il quale potrebbe incidere negativamente sull’autostima del soggetto e sulla percezione del proprio corpo. Inoltre, l’accettazione condivisa dei canoni di bellezza improntati ad un’estetica lontana dalla salute potrebbe contribuire a normalizzare condotte alimentari disadattive e ad impedirne una presa di coscienza.
Non sorprende che ci sia stato un forte aumento nell’uso dei social media dall’inizio della crisi del Coronavirus, che studi precedenti hanno collegato con una maggiore sintomatologia alimentare. Durante la pandemia, l’utilizzo dei social negli adolescenti e negli adulti, è significativamente aumentato. Nei periodi di lockdown è diventata l’unica “finestra sociale” che ha permesso di mantenere dei contatti relazionali con le persone al di fuori del nucleo familiare. Tuttavia, sappiamo che l’utilizzo dei media, compresi i social, è associato ad un aumento del rischio di disturbi alimentari. Ciò a causa dell’esposizione continua a contenuti legati all’ideale della magrezza. D’altra parte, l’utilizzo delle videoconferenze o della DAD, ha reso possibile lo svolgimento di alcune attività lavorative e la formazione dei giovani studenti. Questo però può aver contribuito ad aumentare le preoccupazioni per il proprio aspetto. Infatti, attraverso questa tecnologia, la nostra attenzione è centrata sui volti e sull’aspetto, nostri e degli altri. Ci troviamo quindi in una situazione virtualmente sociale, in cui è come se ci “guardassimo allo specchio” ripetutamente mentre si parla con altre persone. Inoltre, è anche possibile che l’utilizzo intenso dei social network possa amplificare la percezione del proprio corpo in termini oggettivizzanti, esacerbando così il circolo vizioso delle abbuffate, così come le preoccupazioni per la salute e la forma fisica durante la reclusione.
Inoltre durante il lockdown si è assistito ad un incremento del download di app per la salute e il fitness.
Quali sono i campanelli d’allarme della bulimia?
Come dicevamo, i segni di bulimia non sono sempre facili da riconoscere. Tuttavia, i possibili segnali possono essere:
- Aver paura di ingrassare
- Essere preoccupati per il peso e la forma del corpo
- Non piacersi e vergognarsi ad uscire in pubblico
- Non riuscire a controllare il proprio comportamento a tavola
- Praticare attività fisica eccessiva
- Costringersi a vomitare o utilizzare lassativi, diuretici o clisteri per eliminare il cibo ingerito andando spesso in bagno durante o dopo i pasti
- Limitare le calorie o evitare certi cibi
Se ho il dubbio che mia figlia sia bulimica cosa devo fare?
Spesso chi soffre di bulimia si abbuffa in solitudine e in segreto per la forte vergogna. Frequentemente nessuno nella famiglia è a conoscenza del problema, che può essere tenuto nascosto anche per molto tempo. Infatti, è molto comune che una persona bulimica confessi le proprie difficoltà col cibo quando ormai il meccanismo si è strutturato, soltanto perché sente che le strategie di controllo che ha provato a mettere in atto non funzionano. È importante tenere a mente che chi ha un problema alimentare, prova vergogna per il suo comportamento. Ciò vale in particolare per le abbuffate che sono percepite in modo egodistonico. È opportuno quindi parlare con la persona in privato, cercando di essere gentili e delicati e incoraggiarla a cercare aiuto da un professionista esperto di tali problematiche.
Se mia figlia è bulimica dovrò mandarla dallo psicologo?
L’aiuto più importante che si può offrire ad un proprio caro o a una persona bulimica a noi vicina è quello di condividere con lei la nostra preoccupazione. Possiamo così incentivarla ad avvicinarsi ad uno psicoterapeuta che possa prima di tutto darle una spiegazione del meccanismo che la sta intrappolando. Successivamente potrà offrirle strategie per superarlo.
Che tipo di lavoro può fare lo psicologo su una ragazza bulimica?
La prima fase del trattamento si focalizza su una gestione della fase “acuta” del disturbo dell’alimentazione (come ad esempio lavorare sulla diminuzione degli episodi di digiuno, di vomito e/o di abuso lassativi e della frequenza delle crisi bulimiche), in una fase successiva la terapia prevede di affrontare tutte le problematiche che presentano una connessione con il disturbo dell’alimentazione e soprattutto le difficoltà familiari e relazionali (come la mancanza di assertività), lo sviluppo di una fragile autostima e le possibili cause che hanno favorito lo sviluppo di un disturbo dell’alimentazione.
In ogni caso, il trattamento d’elezione per disturbi del comportamento alimentare, ivi compresa la bulimia, è un trattamento multidisciplinare composto da diverse figure di rifermento (come medico psichiatra, medico internista, biologo nutrizionista, psicoterapeuta), in grado di cogliere la complessità del sintomo.
Cosa posso fare a casa per aiutare una ragazza bulimica?
Se siamo i genitori di una figlia che soffre di bulimia nervosa, spesso cerchiamo i perché. Iniziamo così a domandarci: “dove ho sbagliato? È tutta colpa mia!”. Colpevolizzarsi non serve a niente, anzi spesso è controproducente.
Ad esempio, una madre che inizia a pensare che la colpa di tutto sia il cattivo rapporto con la figlia, tenderà a dare delle interpretazioni sulla base di questa spiegazione, pensando: “Tutte le volte che si abbuffa, lo fa per farmela pagare”. Questa interpretazione genera impotenza ma anche rabbia che ovviamente si riversa nella relazione con il/la proprio/a figlio/a.
Un atteggiamento di critica e un’elevata aggressività portano a sviluppare un clima familiare disfunzionale che può aggravare o mantenere il disturbo dell’alimentazione.
Allo stesso modo è importante non colpevolizzare la persona che ha un problema alimentare: “Non sei riuscita a trattenerti dal mangiare! Devi impegnarti!”. La bulimia nervosa, come gli altri disturbi dell’alimentazione, non sono affrontabili con la semplice forza di volontà. Serve prima di tutto conoscenza di quelli che sono i meccanismi che mantengono la problematica. A partire da questa, è possibile affrontarli con strumenti adeguati.
Non tenere cibo in casa o addirittura mettere sottochiave la dispensa, sono strategie che alcune volte i familiari mettono in atto con lo scopo di aiutare la persona a resistere alle abbuffate. Questi tentativi non sono utili, anzi incentivano la persona che soffre di bulimia a ricercare ancora più in segreto del cibo (es. comprando grandi quantità di cibo al supermercato).
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