Con l’avanzare dell’età le funzioni cognitive vanno incontro a un naturale e graduale declino fisiologico.
Alcune volte, tuttavia, queste dimenticanze tendono ad intensificarsi e divenire un vero e proprio campanello di allarme, che può preannunciare l’esordio di malattie neurodegenerative, quali ad esempio le demenze, come la Malattia di Alzheimer, la più frequente.
In linea generale, chi sperimenta un calo della memoria che interferisca con lo svolgimento della vita quotidiana dovrebbe rivolgersi ad un neurologo, per definire e approfondire la problematica in essere.
Ce ne parla la dott.ssa Elisabetta Forapani, neurologa presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care di Monza.
Cosa succede alla nostra memoria con l’avanzare dell’età?
L’elemento che suscita maggiore preoccupazione nella persona anziana e nei suoi familiari è la comparsa di difficoltà nella memoria e nell’attenzione. La vita quotidiana ci sottopone costantemente a compiti di memoria e attenzione, mettendo in luce eventuali carenze.
La memoria è la capacità di conservare nel tempo le informazioni apprese e di recuperarle a seconda delle necessità e del contesto. È un elemento fondante della nostra vita, “è tesoro e custode di tutte le cose”: nella memoria c’è la nostra identità.
Tuttavia, è importante sapere che anche l’oblio è essenziale tanto quanto il ricordo: in una logica di economia mentale, ci aiuta a ridurre l’interferenza da parte di informazioni irrilevanti o superate. Inoltre, serve a mantenere una mente flessibile, creativa e sana.
Le persone anziane hanno solitamente una buona capacità di rievocare gli eventi del passato, mentre incontrano maggiore difficoltà a fissare e rievocare i fatti recenti. Quanto all’attenzione, in situazioni di tensione emotiva, la persona anziana ha maggiore difficoltà a mantenere la concentrazione e, dunque, può mostrare più facilmente una defaillance mnesica. Questo si associa ad un timore, da parte dell’anziano, di non ricordare e di non essere performante, ingenerando così, un circolo vizioso.
È possibile prevenire la demenza di Alzheimer e altre forme di demenza?
Le più recenti ed autorevoli evidenze che giungono dalla letteratura internazionale rispondono in modo affermativo a questo grande interrogativo.
Se si interviene precocemente su alcuni fattori di rischio modificabili, un terzo dei casi di malattia potrebbe essere ridotto o comunque ritardato nell’esordio.
Cosa sono i fattori di rischio e come si può ritardare l’insorgere della demenza?
I fattori di rischio sono condizioni che possono favorire la comparsa di una malattia, anche se non costituiscono la causa principale della stessa; tra questi ve ne sono alcuni non modificabili (rari e su base genetica). Altri, invece, possono essere modificati dal nostro stile di vita. Intervenire sui fattori di rischio modificabili prima dell’età senile, quindi in età adulta, o ancor meglio in quella giovanile, può contribuire a ridurre l’insorgenza della demenza.
Quali sono i fattori di rischio?
Secondo una recente revisione pubblicata sulla prestigiosa rivista “The Lancet”, i fattori di rischio per lo sviluppo di demenza sono 12. Tra questi, molti sono gli stessi che sottendono altre patologie, come ad esempio quelle cardiovascolari ed oncologiche. Da questo intuiamo l’importanza di adottare, in generale, uno stile di vita sano.
I 12 fattori di rischio per lo sviluppo di demenza sono:
1. Sedentarietà
2. Fumo di sigaretta
3. Eccessivo consumo di alcool
4. Inquinamento atmosferico
5. Traumi cranici
6. Pochi contatti sociali
7. Scarsa istruzione
8. Obesità
9. Ipertensione
10. Diabete
11. Depressione
12. Ipoacusia
Osservando questo elenco, possiamo derivare alcuni “comportamenti virtuosi” del vivere quotidiano, che possono diventare veri atti di prevenzione per il nostro sistema nervoso, quali ad esempio avere una vita sociale attiva, fare attività fisica regolarmente, svolgere attività ricreative diverse (fisiche, mentali, sociali).
E ancora: seguire una dieta mediterranea equilibrata che ci garantisca un peso nella norma e un apporto adeguato di frutta, verdura e pesce.
Come anche evitare l’uso di sostanze voluttuarie, non trascurare stati depressivi, utilizzare dispositivi protesici per l’udito in persone ipoacusiche.
Da ultimo, ma non per importanza, va ricordato quanto sia importante fare allenamento cognitivo e mantenersi cognitivamente attivi, a partire da quando si è ancora sani.
A questo proposito non possiamo trascurare il concetto di “riserva cognitiva”, ossia il processo adattativo che il nostro cervello mette in atto per compensare o contrastare, in maniera efficiente e flessibile, un danno causato al tessuto cerebrale, (ad esempio, per un ictus o un trauma cranico) promuovendo la neuroplasticità.
Le attività cognitivamente stimolanti sono implicate nel “rifornimento” di questa riserva. Come anche gli altri “comportamenti virtuosi” che abbiamo citato.Del resto, la locuzione “use it or loose it”, che si riferisce al principio neurofunzionale per cui se un collegamento nervoso non è usato degenera, rende con molta efficacia una imperiosa raccomandazione da… “memorizzare”.
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