Psicologia del bullismo: nove cose da sapere, tra verità e falsi miti

Ne sentiamo spesso parlare, ma cos’è davvero il bullismo? Cosa lo distingue da una semplice litigio al parchetto o da una discussione sui social media?  Abbiamo intervistato la dott.ssa Ylenia Canavesio, neuropsicologa del Centro Psico Medical Care, per fare chiarezza su un fenomeno estremamente complesso. 

Cos’è davvero il bullismo?

Se ne parla ancora poco e a volte in modo poco preciso, ma il bullismo è un fenomeno che riguarda un numero sempre più considerevole di bambini e ragazzi. Come suggerisce il principale studioso in materia – Dan Olweus – per parlare di bullismo devono essere presenti tre condizioni fondamentali

  1. intenzionalità
  2. persistenza nel tempo
  3. asimmetria nella relazione (ovvero la vittima deve essere incapace o impossibilitata a difendersi)

Il bullismo è infatti contraddistinto da un’interazione tra coetanei caratterizzata da un comportamento aggressivo intenzionale, da uno squilibrio di forza/potere nella relazione e da una durata temporale delle azioni “vessatorie”.

Talvolta possiamo accidentalmente dire o fare cose che sono offensive per gli altri, non è il caso del bullismo: è importante sottolinearne la natura di comportamento deliberato, che viene fatto di proposito per far sentire una persona intimidita, minacciata o impotente.

A che età si manifesta? 

Per queste sue caratteristiche intrinseche è difficile parlare di bullismo alla scuola dell’infanzia in quanto manca la consapevolezza, l’intenzionalità di fare violenza.

Il bullismo può verificarsi ovunque: a scuola, nei centri di aggregazione, a casa o sul web, e si presenta sotto forme differenti più o meno identificabili, perché può comportare attacchi fisici, verbali (insulti, prese in giro, minacce, danni ed altre forme di intimidazione o esclusione) ma anche vessazioni indirette, che colpiscono la sfera psicologica della vittima.  Nella maggior parte dei casi l’autore di tali comportamenti agisce nell’ombra, al di fuori del controllo degli adulti, anche se spesso cerca degli spettatori (i pari che possano ammirare la sua condotta).

Gli studi indicano che tale fenomeno, che coinvolge in egual modo entrambi i sessi, raggiunge un picco tra gli 11 e i 13 anni e diminuisce man mano che i ragazzi crescono.

L’aggressione fisica esplicita, come calci, percosse e spintoni, è più comune tra i bambini più giovani; l’aggressione relazionale – danneggiare o manipolare le relazioni degli altri, come diffondere voci, ed esclusione sociale – è più comune man mano che i bambini crescono. 

Perché i bulli bullizzano?

Le motivazioni alla base del bullismo sono difficili da individuare e spesso hanno un’origine profonda: da una mancanza di controllo degli impulsi a problemi di gestione della rabbia, oppure sentimenti di gelosia o invidia.

Fondamentale ricordare che, non di rado, la causa di tale comportamento è un sentimento di inadeguatezza, percepito proprio dall’autore di tali gesti. Il bullo infatti è spesso un soggetto fragile, sofferente, e mette in atto tale comportamento come riflesso di questo.

 Ecco una panoramica delle principali ragioni per cui i ragazzi possono fare i bulli:

  • per sentirsi potenti e avere il controllo della situazione e stabilire un dominio sociale
  • per affrontare sentimenti di  rabbia o paura
  • per assecondare la pressione dei pari
  • perché hanno poche competenze sociali e capacità di autocontrollo
  • per affrontare problemi di autostima e fiducia
  • perché  sono stati essi stessi vittime di bullismo o di violenza

Le ragioni alla base di questo comportamento possono essere differenti e le scuole di pensiero riguardo a questo sono ancora  molteplici. 

Maschi e femmine: il bullismo riguarda entrambi? 

Le ragazze hanno le stesse probabilità dei ragazzi di essere bulli, ma può essere differente il modo in cui il comportamento disfunzionale viene messo in atto.

Mentre i ragazzi sono più coinvolti in aggressioni dirette e fisiche è molto più probabile che le ragazze agiscano ad un livello differente. Tendono infatti a ferire gli altri attraverso la prevaricazione e la violenza psicologica, colpendo così la sfera più intima della persona: diffondendo false voci su qualcuno, rompendo legami di amicizia o promuovendo l’esclusione sociale. 

Quali sono i pericoli del cyberbullismo? 

Il cyberbullismo è un fenomeno di cui sentiamo parlare da quando sulle scrivanie degli adolescenti e dei preadolescenti sono approdati gli smartphone, anche se – osservandolo da più vicino – il problema non è così nuovo come potrebbe sembrare.

Il cyberbullismo infatti, proprio come il bullismo “offline”, è una forma intenzionale di prevaricazione e di oppressione reiterata nel tempo, che usa però internet e le tecnologie digitali per manifestarsi.

Mentre una volta il bullismo era in gran parte confinato alla scuola, le potenzialità e le risorse offerte da Whatsapp o dai social media, danno oggi ai bulli maggior potere d’azione: il contatto con le potenziali vittime è costante, senza limiti di tempo e spazio. 

Le aggressioni digitali possono essere, inoltre, ancora più impattanti: alcune piattaforme online garantiscono l’anonimato, e questo produce un allentamento di molti freni inibitori, indebolisce le remore etiche, amplificando la ferocia dell’aggressione. È più facile infatti infliggere dolore e sofferenza agli altri quando chi comunica non è a contatto diretto con l’interlocutore. 

Esiste un “bersaglio” preferito dai bulli? 

Per circa vent’anni, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sulle caratteristiche del bullo e sui meccanismi alla base del comportamento aggressivo, ora si sta invece osservando un cambio di rotta, più promettente, che parte dall’individuazione delle potenziali vittime, ovvero che prende in analisi gli elementi di fragilità che espongono i bambini, fin dalla scuola primaria, al rischio di  subire condotte aggressive da parte dei compagni.

Infatti la letteratura mostra che esistono dei fattori individuali e socio familiari che aumentano il rischio di vittimizzazione in età evolutiva.

Uno dei fattori che accomunano le vittime di bullismo, è la scarsa assertività, ovvero la capacità di esprimere e affermare sé stessi. 

Quali segnali indicano che un bambino potrebbe essere vittima di bullismo? 

Sono pochissimi i bambini che si rivolgono all’adulto per raccontare quello che gli sta accadendo. Il report “Indicators of School Crime and Safety” evidenzia dati poco incoraggianti: solo il 20% degli episodi di bullismo scolastico sono stati denunciati, per ragioni differenti. In molti casi, il timore delle vittime è quello di sentirsi deboli, vergognarsi o aver paura di peggiorare la situazione.

Ma a questo punto cosa possiamo fare noi genitori? E’ possibile dall’esterno prestare attenzione ad alcuni segnali di cambiamenti nel bambino, pur considerando che non sempre le vittime di bullismo mostrano  esplicitamente il disagio vissuto? 

In linea generale è possibile riscontrare alcuni segnali legati alla presenza di maggior  stress o ansia, come agitazione, difficoltà legate al sonno, disattenzione o scatti d’ira.

È possibile inoltre che un bambino manifesti il proprio disagio attraverso delle somatizzazioni, ovvero veri e propri sintomi fisici, come cefalea, vomito e mal di pancia senza che sia presente un reale riscontro medico di malattia.

A scuola invece si può assistere ad  un calo improvviso del rendimento ed un impoverimento delle relazioni con i compagni.

Quali conseguenze provoca? 

Essere vittima di bullismo porta con sé delle ripercussioni e dei vissuti psicologici profondi: sono tantissimi infatti i bambini che soffrono in silenzio, stanno male, vivono delusioni o violenze e si tengono tutto dentro, perché non trovano il  coraggio di denunciare l’accaduto per paura o per vergogna.

Tale malessere talvolta viene espresso attraverso il corpo, sviluppando sintomi psicosomatici come mal di pancia, mal di testa o vomito, in altri casi è possibile invece che, chi subisce tali condotte possa presentare, a lungo termine,  una sintomatologia  più importante e cronica, come ad  esempio ansia, fobia scolastica o sociale.

Tale sofferenza non è però unidirezionale: infatti, come afferma uno studio condotto dalla Association for Psychological Science, i danni psicologici che si ripercuotono sulle vittime di bullismo spesso riguardano anche gli autori di tali gesti, ovvero i bulli.

Dai risultati della ricerca è emerso infatti che tanto i bulli quanto le loro vittime hanno maggiori probabilità di soffrire durante l’età adulta.

Come si può intervenire?

Per contrastare  il bullismo, un primo ruolo chiave può essere quello svolto della famiglia e degli educatori in generale:

  • allenare le abilità sociali e relazionali, i comportamenti prosociali (es empatia e cooperazione ma anche assertività, gestione dei conflitti e delle paure relazionali)
  • permettere ai bambini di sviluppare fiducia nelle proprie capacità, rinforzando le loro qualità e aiutandoli ad accettare le loro fragilità, insicurezze, come fatti normali e non diminutivi
  • condividere con i bambini un sistema di valori basato sull’ascolto, sul rispetto dell’altro e sulla valorizzazione delle differenze.

Gli studi sottolineano inoltre l’importanza e l’utilità dei progetti di prevenzione a supporto di quei bambini – sin dalla scuola dell’infanzia – sono a rischio di isolamento e vittimizzazione. Appaiono cosi particolarmente efficaci tutti quegli interventi che mirano al potenziamento delle abilità socio-affettive e al rafforzamento di relazioni di amicizia flessibili e plurime.

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