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La campagna vaccinale è iniziata da mesi, ma scetticismo e perplessità sono ancora dilaganti. Quali meccanismi psicologici alla base dei timori? Come ricostruire la fiducia in “chi sa più di noi”?
TUTTO IN BREVE
Secondo l’OMS, il rifiuto, il ritardo o l’accettazione con dubbi sull’utilità e la sicurezza del vaccino è tra le 10 minacce sanitarie attualmente più importanti. I numeri italiani lo confermano, dato che il 17,6% della popolazione dichiara di non avere intenzione di vaccinarsi: la fascia più scettica della popolazione sarebbe quella compresa tra i 35 e 44 anni (studio condotto da AGENAS).
Perché paura e diffidenza prendono spesso il sopravvento quando si parla di vaccini? In parte è dovuto all’influenza dei media tradizionali, ancora centrali nel processo di formazione delle credenze. Mis-informazione e dis-informazione viaggiano ancor più rapidamente sul web e nei social network, ostacolando la creazione di una opinion leadership sicura e autorevole. Inoltre, nelle situazioni di allerta il nostro sistema neurobiologico ci porta spesso a valutare le informazioni nel modo sbagliato (bias), ovvero dando più peso a quelle negative e scoraggianti. Tutto questo si inserisce in un contesto sociale di profonda sfiducia nelle autorità pubbliche.
Quali sono i principali timori? L’associazione con un evento avverso, risultato di un rapporto rischio/pericolo influenzato dalla percezione di non avere il totale controllo della situazione (come durante un viaggio in aereo). Inoltre, la poca familiarità con ricerche, test, laboratori, componenti e procedure contribuisce a diminuire il livello di confidenza con il vaccino. Allo stesso modo, il bilancio tra pro e contro della vaccinazione può apparire sconveniente se valutato nell’ottica del singolo individuo.
È sulla base di queste paure che gli attivisti no-vax basano le loro strategie comunicative: dati de-contestualizzati, aspettative inverosimili e conclusioni pseudo-scientifiche ottenute tramite ragionamenti senza validità logica.
Che fare? In un simile contesto, la priorità deve essere ricostruire la fiducia tra i professionisti medici e le autorità sanitarie pubbliche: la complessità dello scenario richiede che questi ultimi accettino una posizione di vulnerabilità, appoggiandosi sulla competenza dei primi. La fiducia – però – non può nascere da una “prescrizione” calata dall’alto, è necessario partire dall’ascolto dei dubbi e delle paure, in un viaggio fianco a fianco esperto-non esperto finalizzato a dare strumenti per il pensiero critico.
La campagna vaccinale è iniziata da mesi, ma lo scetticismo e le perplessità sono ancora dilaganti. Dai dubbi riguardo all’efficacia contro il Covid-19, alla rapidità con cui è stato elaborato, alla sfiducia nelle istituzioni, sino alla paura per gli eventuali effetti collaterali: sono molti gli italiani (e non solo) preoccupati da questi nuovi vaccini. La paura e il dubbio possono essere normali e vanno gestiti sullo stesso piano da cui si generano, quello emotivo. Due i pilastri su cui agire: da un lato, lo studio e la comprensione delle caratteristiche psicologiche associate all’esitazione e alla resistenza alla vaccinazione; dall’altro, la considerazione delle emozioni al momento di comunicare e promuovere l’efficacia del vaccino.
La titubanza davanti alla vaccinazione, definita come il rifiuto, il ritardo o l’accettazione con dubbi sull’utilità e la sicurezza del vaccino, è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle 10 minacce sanitarie più importanti nel mondo di oggi. Si tratta di un fenomeno complesso, spesso guidato dalla paura degli effetti avversi, che riguarda le persone che potrebbero oscillare verso una posizione a favore o contro un vaccino. Le ragioni che spingono le persone ad essere titubanti sono molteplici e possono variare a seconda del periodo, del paese, della comunità all’interno della nazione stessa. Porzioni significative di popolazione in tutto il mondo sono riluttanti alla vaccinazione anche per i vaccini contro il COVID-19, nonostante sia ben chiara la percezione dei rischi e delle difficoltà causate dalla pandemia. Secondo uno studio condotto dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), in collaborazione con il Laboratorio Management e Sanità (MeS) dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nel nostro paese è il 17,6% della popolazione a non avere intenzione di vaccinarsi. L’indagine ha coinvolto 12.322 persone, residenti in tutte le Regioni e Province autonome. Nello specifico, la fascia più scettica della popolazione sarebbe quella compresa tra i 35 e 44 anni.
Paura e diffidenza: come può essere definita la titubanza alla vaccinazione?
Paura e diffidenza sono due sentimenti molto frequenti quando si parla di salute, specie in questo momento particolare. Nel periodo di crisi sanitaria che stiamo vivendo dovrebbe emergere naturalmente la fiducia in chi “sa più di noi” in questo ambito, ovvero scienziati, medici e ricercatori. Perché invece paura e diffidenza sembrano prendere il sopravvento? Ci sono vari fattori che possono aiutarci a comprendere:
1. Fattori contingenti legati alle forme di comunicazione
In questa era digitale, tendiamo a dimenticare che i media tradizionali hanno ancora una forte influenza sulla formazione delle credenze. Il loro ruolo è spesso facilmente riconoscibile nelle vecchie paure sui vaccini, come la convinzione che il vaccino MMR (morbillo-parotite-rosolia) causi l’autismo. Ma la spiegazione dell’aumento contemporaneo dell’esitazione vaccinale tende a concentrarsi sul Web 2.0, sulle piattaforme come Twitter, Facebook, Instagram e Pinterest. I social media, infatti, sono terreno fertile per il passaggio di mis-informazione (erroneo riporto o scarsa solidità della nella fonte) e dis-informazione (fake news, deliberatamente false) che oltre ad essere contagiose, viaggiano velocissime, sicuramente molto più della verità. Tutto questo rende più difficile la creazione di una opinion leadership autorevole e affidabile, tenendo anche conto che negli ultimi mesi siamo stati bombardati da valanghe di informazioni, presentate come “verità assolute” che spesso però si contraddicevano l’una con l’altra. Alla luce di questo, la diffidenza diffusa attualmente è in qualche modo comprensibile.
2. Fattori contingenti legati al contesto storico
Una caratteristica da sempre correlata alla diffidenza nelle vaccinazioni è la mancanza di fiducia nelle autorità pubbliche che, purtroppo, in questo momento sta aumentando sempre di più. La combinazione di questo fattore (sfiducia nelle istituzioni) e il primo (disinformazione) è annoverata tra le cause principali dello scetticismo verso i vaccini.
3. Fattori strutturali o di base (emotività)
Le applicazioni della psicologia anche in ambiti solo in apparenza strettamente numerici e fattuali, come la neuro-economia e la finanza, spiegano come l’emotività sia una forza prevaricante nel modo in cui l’essere umano prende decisioni. In un periodo di incertezza, instabilità, crisi e malessere, è normale reagire attivando il nostro sistema neurobiologico di allerta che ci porta a valutare le informazioni nel modo sbagliato (bias), ovvero dando più peso a quelle negative e scoraggianti. Questo principio che permette alla paura di guidare le nostre scelte si applica anche al caso dei vaccini contro il Covid-19, nonostante sia chiaro che sono elementi fondamentali per la tutela della salute pubblica. In particolare, le persone temono il vaccino per:
- associazione con un evento avverso: la reazione davanti ad un rischio, seppur raro, dovrebbe essere il risultato di un calcolo razionale fra la possibilità che una cosa avvenga e la gravità di quell’avvenimento. Tuttavia, questo calcolo non è sempre razionale, basti pensare che le persone hanno più paura di fare un viaggio in aereo che in auto, nonostante quest’ultimo sia obiettivamente più pericoloso del primo. Il risultato irrazionale della ponderazione tra rischio e pericolo reale dipende molto dalla percezione di avere il controllo sulla cosa: sottoporsi ad un vaccino, come volare su un aereo, ci espone alla sensazione di non avere il controllo su quello che succede e, pertanto, ne abbiamo paura.
- scarsa confidenza: non abbiamo familiarità con ricerche, test, laboratori, componenti utilizzati per formulare il vaccino, procedure per confermarne l’efficacia. Potenzialmente, davanti alla somministrazione di un vaccino, molte persone non vedono altro che un liquido dal contenuto sconosciuto che viene iniettato nel loro corpo. Quindi, davanti a una cosa che non si conosce e che anche attraverso l’informazione (premettendo che sia sana informazione) sembra difficile da comprendere, proviamo un senso di paura.
- bilancio tra pro e contro della vaccinazione: a volte le persone hanno un senso di basso tornaconto personale del vaccino e sono portate a chiedersi se conviene veramente sottoporsi alla vaccinazione, se è davvero efficace, se protegge davvero dalla malattia o se rischia di creare più effetti collaterali che benefici.
È sulla base di queste paure che gli attivisti no-vax di tutto il mondo fanno leva per spingere le persone ad avere sfiducia nei vaccini, arrivando ad essere sempre più incisivi con la diffusione dell’informazione attraverso internet. I movimenti no-vax si possono distinguere in due gruppi: i primi, più vicini ai movimenti sociali tradizionali, come i diritti dei pazienti e la salute ambientale, si posizionano contro un numero limitato di vaccini e alcune sostanze contenute in essi (come l’alluminio); i secondi, ovvero i no-vax tradizionali, sono associati a movimenti radicali di antivaccinismo (medicina alternativa, fondamentalismo religioso, teorie della cospirazione e libertarismo radicale). Giornalisti e accademici hanno riportato il crescente successo di critici che usano slogan come “green our vaccines”, fanno dichiarazioni come “non sono un no-vax, ma…” e promuovono i cosiddetti “programmi alternativi di vaccinazione”. Le strategie comunicative utilizzate dai no-vax sono ben definite, quasi scientifiche, per alimentare le paure delle persone e la reazione di diffidenza. Si tratta di metodiche che manipolano il nostro cervello emotivo, che soggiacciono alla mis-informazione di cui parlavamo prima.
Alcune strategie consistono in:
- Selettività: viene citato un dato ma senza inserirlo nel contesto in cui è stato elaborato, senza fornire il suo valore significativo, la sua rappresentatività rispetto al campione, la sua rilevanza statistica. In pratica, il dato non è veramente portatore di informazione, ma si limita ad essere un numero che può essere interpretato in qualsiasi modo (erroneo).
- Creare aspettative impossibili: ad esempio, dichiarare che il vaccino è sicuro ed efficace al 100%, senza concedere alcun margine di perfezionamento.
- Rappresentazioni e logiche false: saltare a conclusioni assolutistiche e usare ragionamenti e analogie privi di logica.
Come possiamo difenderci?
Davanti a titubanza e scetticismo, oltre ad una buona dose di comprensibile rabbia e sconforto, per raggiungere un grado di confidenza verso i vaccini bisogna agire sul piano emotivo, in particolare sulla sfera della fiducia. La fiducia è la leva che fa funzionare bene le relazioni in cui una parte accetta una posizione di vulnerabilità, appoggiandosi sulla competenza dell’altro per affrontare la complessità della scelta che deve affrontare. Ma questa fiducia inizia dall’ascolto che la parte competente è in grado di dare ai dubbi della parte che si deve affidare. Non può essere prescritta, bensì comunicata. Pertanto, va fatta una scelta di campo nello stile comunicativo: non va prediletto lo stile prescrittivo della verità scientifica, ma va abbracciato quello di affiancamento esperto-non esperto finalizzato a dare strumenti per un pensiero critico. Il paziente deve elaborare la decisione sentendola propria. La fiducia nei vaccini dipende dalla fiducia verso gli operatori sanitari, il sistema sanitario, la scienza e il contesto socio-politico. La fiducia non è uniforme per tutti i vaccini e può variare per i diversi componenti del vaccino (ad esempio, antigeni multipli, adiuvanti), per i vaccini nuovi o “vecchi”, e secondo le controversie passate o presenti associate al vaccino. La fiducia dipende anche fortemente dal rapporto dei pazienti con gli operatori sanitari coinvolti nella vaccinazione. Infatti, i pazienti spesso cercano un professionista compatibile con i loro valori e convinzioni, e la loro fiducia è una precondizione per la delega della vaccinazione e di altre decisioni sanitarie.
Strategie per ridurre la paura del vaccino
Ripristinare la fiducia nei vaccini nell’era COVID-19 non è facile e sicuramente rappresenta una sfida ulteriore in questa situazione già complicata. I professionisti della salute giocano un ruolo centrale per ripristinare la fiducia nei vaccini, e le loro raccomandazioni sono forti motori di accettazione tra la popolazione generale. Per questo, recentemente, le autorità sanitarie pubbliche hanno elaborato una strategia globale contro la diffusione della sfiducia verso il vaccino che dilaga su Internet. Tuttavia, tali campagne non risolvono i problemi che abbiamo descritto sopra, soprattutto non la mancanza di coinvolgimento del medico generico. Inoltre, esporre le persone a messaggi pro-vaccino e informazioni sulla vaccinazione da un lato può offrire un contributo enorme ma dall’altro può avere anche degli effetti negativi. Si è scoperto che molti modi di comunicare sulla vaccinazione hanno effetti molto limitati e a volte sono addirittura controproducenti. Ad esempio, in alcuni paesi è stato riportato come l’adesione alla campagna vaccinale è correlata di più al tipo di comunicazione (nello specifico al numero di tweet) a cui le persone erano esposte piuttosto che altri elementi, come la condizione socio-economica, etc. Per questo, le campagne di comunicazione dovrebbero prestare molta attenzione al modo in cui “parlano” alla popolazione, per evitare che un loro punto di forza di trasformi in un elemento avverso.
Infine, recenti esperimenti di formazione del personale sanitario per eseguire “interviste motivazionali” con i pazienti suggeriscono che questo potrebbe essere parte della soluzione. Tali tecniche, basate sulle interazioni con i pazienti, hanno il vantaggio di andare oltre la semplice trasmissione di informazioni scientifiche, in quanto contribuiscono a costruire la fiducia. Aiutare i medici a cambiare il loro modo di comunicare con i pazienti sarebbe un passo verso quella che dovrebbe essere vista come una delle massime priorità del sistema sanitario odierno: ricostruire la fiducia tra i professionisti medici e le autorità sanitarie pubbliche.
Consigli
- Capire se stiamo parlando con una persona che nega o che esita
- Dare strumenti per il pensiero critico, non solo diffondere l’informazione basata sull’evidenza. Ci sono studi scientifici che hanno dimostrato che un modo per proteggere il pubblico dalle fake news e dai negazionisti della scienza è insegnare le tattiche usate, non solo correggere la disinformazione scientifica presentata
- Condividere con i nostri interlocutori fonti utilizzabili e consultabili
- Per chi si rifiuta:
- non trasformiamo la chiacchierata in una lezione magistrale, ovvero cercare di non rendere la sessione una “discarica di conoscenze”, per evitare di mettere le persone sulla difensiva
- non perdiamo tempo nello screditare i falsi miti
- intervista motivazionale
- Evitare di obbligare le persone a credere una determinata cosa
- Non rimanere in silenzio: potrebbe essere interpretato come silenzio assenso.
Dott. Michele Cucchi, psichiatra e psicoterapeuta
Direttore Aree Mediche Humanitas Medical Care
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