Normalcy bias: psicologia della crisi

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Il “normalcy bias” è la tendenza delle persone a credere che le cose funzioneranno in futuro nel modo in cui hanno sempre funzionato in passato e quindi a sottovalutare sia la probabilità di una crisi che i suoi possibili effetti.


TUTTO IN BREVE 

L’approccio delle persone alle situazioni di incertezza è da sempre oggetto di studio. Il modello di risposta comune delle persone solitamente prevede:

  1. Negazione
  2. Elaborazione
  3. Momento Decisivo

Ma le strade che portano al “Momento Decisivo” possono essere profondamente diverse, talvolta rapide e dirette, in altri casi lunghe e tortuose. Il modo in cui il cervello elabora le nuove informazioni non è lo stesso in ogni situazione. Lo stress, ad esempio, rallenta l’elaborazione delle informazioni: quando il cervello non riesce a trovare una risposta accettabile si fissa su un’unica soluzione, a volte predefinita. Il “normalcy bias” (la distorsione della normalità) può essere causato da questo modo di elaborare le informazioni, e può indurre le persone a sottovalutare drasticamente gli effetti del problema e a supporre che “andrà tutto bene” perché così è sempre stato fino ad allora e così sarà in futuro. 

Altrettanto diverse sono le risposte personali all’incertezza: l’approccio alla situazione extra-ordinaria può variare in maniera importante da individuo ad individuo. Secondo la Uncertainty Management Theory (UMT; Brashers, 2001) cerchiamo sempre di ridurre l’incertezza, ma ci sono momenti in cui potremmo semplicemente voler mantenere e gestire il nostro livello di incertezza. Nel contesto pandemico attuale, ad esempio, evitare l’esposizione a notizie e aggiornamenti continui può essere un modo per affrontare l’incertezza. 

Se le strategie di gestione dell’incertezza non sono univoche, ad esempio all’interno del nucleo familiare, possono nascere situazioni di conflitto. Può esserci chi riduce l’incertezza informandosi e guardando talk e notiziari, ma può esserci anche chi ha trovato nell’evitamento la forma di gestione più adatta. Da questa differenza nascono spesso frustrazioni, discussioni e conflitti. 


Il normalcy bias è la tendenza delle persone a credere che le cose funzioneranno in futuro nel modo in cui normalmente hanno funzionato in passato e quindi a sottovalutare sia la probabilità di un disastro che i suoi possibili effetti. Questo può portare a situazioni in cui le persone non si preparano adeguatamente ai rischi e, su scala più ampia, al fallimento dei governi di includere la popolazione nei preparativi per eventi disastrosi. Circa il 70% delle persone mostra una tendenza a comportamenti normali durante una catastrofe. Il pregiudizio della normalità (normalcy bias) è stato anche chiamato paralisi dell’analisi, effetto struzzo, panico negativo. La reazione opposta invece è una over reazione, la “worst case scenario bias”, in sostanza la reazione che alcune persone hanno a scostamenti lievi dalla normalità, che inducono in loro reazioni eccessive e catastrofiche.

Durante una pandemia, l’incertezza e la percezione catastrofica del disastro sono ai massimi livelli. Quante volte abbiamo pensato “non ne usciremo mai”, “ci ammaleremo tutti”, oppure “andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”: collettivamente, stiamo vivendo una situazione che gli esseri umani viventi probabilmente non hanno mai sperimentato. Alcuni all’inizio della pandemia si sono ritrovati a cantare dai balconi, osannare i medici e gli infermieri, creare corsie preferenziali per gli operatori sanitari ai supermercati, sfornare pizze e focacce con la speranza di ritrovarsi alla fine in una società migliore e più felice. Altri, invece, sui social media si sono trasformati in “virologi ed epidemiologi” supportando o dubitando di dati e raccomandazioni anche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Detto questo, i ricercatori della comunicazione hanno proposto diversi modi per affrontare l’incertezza e la pandemia globale. Un tipico approccio all’incertezza è il tentativo degli individui di ridurla (Berger & Calabrese, 1975). Cioè, le sensazioni che accompagnano l’incertezza potrebbero spingere a cercare informazioni per ridurla o minimizzarla, ad esempio, la persona che ha bisogno di molte notizie e che passa molto tempo sui social media per raccogliere informazioni sulla pandemia. Tutte queste informazioni aiuterebbero a ridurre l’incertezza causata dalla pandemia.

Le tre fasi della reazione a situazioni extra-ordinarie

Una spiegazione più recente dei processi di incertezza deriva dalla Uncertainty Management Theory (UMT; Brashers, 2001). Partendo dall’assunto tradizionale secondo cui avremmo sempre cercato di ridurre l’incertezza, l’UMT ha proposto che ci siano momenti in cui potremmo voler mantenere il nostro livello di incertezza. Questo tipo di approccio riconosce, quindi, che evitare informazioni aggiuntive può essere un modo in cui le persone affrontano l’incertezza, ad esempio evitando o limitando il consumo di notizie o la pandemia come argomento di conversazione. Sono stati descritti modelli di risposta comune delle persone in caso di disastri e spiega che ci sono tre fasi di risposta: 

  1. Negazione
  2. Elaborazione
  3. Momento Decisivo

Per quanto riguarda la prima fase, descritta come Negazione, Ripley ha rilevato che la gente probabilmente negava che stesse accadendo un disastro. Infatti, ci vuole tempo perché il cervello elabori le informazioni e riconosca che un disastro è una minaccia. Nella fase di Elaborazione, le persone devono decidere cosa fare. Se la persona non ha un piano in atto, questo crea un problema serio perché gli effetti di uno stress pericoloso per la salute (ad esempio, visione a tunnel, esclusione dell’udito, dilatazioni del tempo, esperienze extra-corporee, o abilità motorie ridotte) limitano la capacità dell’individuo di percepire le informazioni e di fare piani. Ripley afferma che nella terza e ultima fase, descritta come il Momento Decisivo, una persona deve agire in modo rapido e deciso. Più velocemente una persona può superare la fase di Negazione e Elaborazione, più velocemente raggiungerà il Momento Decisivo e comincerà ad agire. 

Normalcy bias: la distorsione che induce a sottovalutare i problemi

E’ stato ipotizzato che il normalcy bias (la distorsione della normalità) possa essere causata dal modo in cui il cervello elabora le nuove informazioni. Lo stress rallenta l’elaborazione delle informazioni e quando il cervello non riesce a trovare una risposta accettabile ad una situazione, si fissa su un’unica soluzione, a volte predefinita. Questa soluzione unica può causare lesioni non volute o la morte in situazioni di calamità. Pertanto, la normalcy bias può indurre le persone a sottovalutare drasticamente gli effetti del problema e a supporre che tutto andrà bene. Gli effetti negativi del normalcy bias possono essere combattuti attraverso le quattro fasi della risposta al disastro: 

  1. preparazione, incluso il consapevole riconoscimento pubblico della possibilità di un disastro e la formazione di piani di emergenza
  2. avvertimento, compresa l’emanazione di avvertimenti chiari, univoci e frequenti, e l’aiuto al pubblico a comprenderli e a crederci
  3. impatto, la fase in cui i piani di emergenza entrano in vigore e i servizi di emergenza, le squadre di soccorso e le squadre di salvataggio in caso di catastrofe lavorano in tandem 
  4. all’indomani, ripristinando l’equilibrio dopo l’evento, fornendo sia rifornimenti che aiuti a chi ne ha bisogno.

Probabilmente una delle descrizioni sopra riportate descrive l’approccio che alcuni di noi hanno all’incertezza in questa pandemia. Tuttavia, la realtà di oggi potrebbe implicare di ritrovarsi in quarantena a casa con altre persone. Altre persone a casa potrebbero includere un fidanzato/una fidanzata, un marito/moglie, un compagno di stanza, fratelli, amici e/o genitori. Vivere con gli altri durante questa emergenza sanitaria, tuttavia, potrebbe rappresentare un’area di conflitto se i personali approcci all’incertezza non sono uniformi.

Reazione e gestione dell’incertezza: un esempio 

Consideriamo una coppia che vive insieme. Per questo esempio, chiameremo i membri della coppia Chris e Jamie. Chris potrebbe discutere della pandemia con Jamie e anche guardare continuamente notiziari nel loro spazio comune, che Jamie può sentire. E’ in questo modo che Chris riduce l’incertezza. Al contrario, Jamie potrebbe non voler ridurre l’incertezza e, quindi, evita questo argomento come forma di gestione. Nel corso del tempo, Jamie potrebbe arrabbiarsi con Chris, ignorare Chris o esprimere la sua frustrazione quando si parla della pandemia. Questo può portare a una forma di conflitto e probabilmente a un clima negativo in casa. In altre parole, Chris è frustrato o offeso dal tono di Jamie, e quindi Jamie e Chris inizieranno a discutere sulla situazione. Questo è un problema, in quanto nasconde la vera fonte di emozioni e di conflitti. Il problema in gioco è che Chris continua a parlare della pandemia. Non è che Jamie sia frustrato dall’idea di comunicare con Chris, è che gli sforzi di Chris per ridurre l’incertezza attraverso i media e la comunicazione con Jamie compromettono o minacciano gli sforzi di Jamie per gestire l’incertezza attraverso l’evitamento. Il conflitto a portata di mano, quindi, è che entrambi i partner hanno una diversa tolleranza per i livelli di incertezza. Il modo più pratico per evitarlo, quindi, potrebbe essere quello di parlare con le persone che si trovano in casa. Considerate di affrontare questa conversazione con l’obiettivo di capire quanto le persone in casa potrebbero voler sapere, o non voler sapere. Se le persone in casa hanno approcci diversi all’incertezza, lavorate per rispettare questi confini. Nel caso di Chris e Jamie, Chris può discutere l’argomento con altri che vogliono ridurre la loro incertezza attraverso i social media e le telefonate/messaggi. Questo permetterebbe a Chris di ridurre l’incertezza e a Jamie di mantenere il livello di incertezza desiderato.

Le descrizioni sopra riportate dei nostri approcci all’incertezza sono eccessivamente semplificate e rappresentano due dei tanti modi in cui i ricercatori della comunicazione comprendono l’incertezza. 

Per approfondimenti su questo argomento, consultare altre teorie come la Teoria della gestione delle informazioni motivate (Afifi & Weiner, 2004) e la Teoria dell’integrazione problematica (vedi Babrow, 1992), tra le altre.

Dott.ssa Alessandra Massironi, psicologa 

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Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo- costruttiva; neuropsicologia e psicologa forense
Dr.ssa Alessandra Massironi
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