Reflusso gastro esofageo ed esofago di Barrett: come prevenire l’adenocarcinoma esofageo?

L’esofago di Barrett (BE) è una condizione in cui il rivestimento dell’esofago inferiore (normalmente rivestito da epitelio squamoso) viene sostituito da un epitelio colonnare, un tipo di tessuto normalmente presente nell’intestino. Secondo la Società Europea di Endoscopia Digestiva (ESGE), la diagnosi viene confermata quando è presente un rivestimento di epitelio colonnare lungo almeno 1 cm (lingue o circolare), contenente metaplasia intestinale (un fenomeno in cui le cellule sane di un tessuto si convertono nelle cellule costituenti l’epitelio dell’intestino, un cambiamento non indica un processo tumorale, poiché le cellule restano sane e non mostrano i comportamenti tipici delle cellule cancerose) all’esame istopatologico.

Ce ne parla il dottor Davide Massimi, gastroenterologo presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care di Monza e Endoscopista Digestivo Terapeutico presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quanto è comune l’esofago di Barrett?

L’esofago di Barrett colpisce circa l’1-2% della popolazione mondiale ed è associato a un aumento significativo del rischio di sviluppare un adenocarcinoma esofageo, un tipo di tumore con un basso tasso di sopravvivenza a 5 anni, con solo il 20% dei casi diagnosticati in fase precoce a causa della tardiva comparsa dei sintomi.

Qual è il legame tra reflusso gastroesofageo ed esofago di Barrett?

Secondo una recente revisione sistematica e meta-analisi, circa il 7,2% delle persone con reflusso gastroesofageo sviluppa esofago di Barrett, confermato tramite biopsie istologiche.

Quali sono i rischi di sviluppare un adenocarcinoma esofageo nei pazienti con esofago di Barrett?

I pazienti con esofago di Barrett hanno un rischio dal 3% al 5% circa di sviluppare un adenocarcinoma esofageo nel corso della loro vita. Attualmente, l’adenocarcinoma esofageo ha superato in prevalenza il tumore squamoso, confermandosi come il tipo più frequente di tumore esofageo.

Tuttavia, il rischio che i pazienti con esofago di Barrett senza displasia sviluppino un cancro è piuttosto basso, stimato intorno allo 0,3% all’anno. 

Al contrario, nei pazienti con displasia di basso grado confermata (LGD), soprattutto se riscontrata in modo ripetuto e in più punti dell’esofago, il rischio di evoluzione verso displasia di alto grado (HGD) o il cancro è considerevolmente più elevato.

Quali sono i fattori che favoriscono lo sviluppo della metaplasia intestinale?

Il principale fattore predisponente è il reflusso acido (la teoria è che la metaplasia intestinale si sviluppi come meccanismo protettivo contro il reflusso acido cronico); tuttavia, bisogna ricordare che la maggior parte dei pazienti con malattia da reflusso non sviluppa questa condizione. A tal proposito una delle ipotesi eziopatogeniche formulate è quella della “tasca acida”: dopo i pasti, la giunzione gastroesofagea diventa infatti una zona ad alta acidità, da qui il concetto di acid pocket (“tasca acida”), dove il cibo non riesce a tamponare l’acidità del succo gastrico. In questa area, il pH è molto più basso (circa 1,6) rispetto al corpo dello stomaco (pH 4,7). A livello molecolare, ciò provoca un’elevata concentrazione di ossido nitrico (NO), un composto che può avere effetti mutageni.

Altri fattori di rischio sono legati a:

  • Acidi biliari: nei pazienti con reflusso, sono stati identificati diversi acidi biliari (come l’acido glicocolico, taurocolico, glicodeossicolico e glicocenodeossicolico) che possono danneggiare l’epitelio esofageo, contribuendo allo sviluppo della metaplasia attraverso meccanismi che includono lo stress ossidativo e danni al DNA.
  • Obesità: diversi studi hanno evidenziato una correlazione tra l’esofago di Barrett e la malattia da reflusso con parametri come la circonferenza vita e il rapporto vita-fianchi. In particolare, l’obesità tronculare (cioè il grasso in eccesso si concentra prevalentemente sul tronco e non sugli arti) sembra giocare un ruolo importante nella progressione del reflusso verso l’esofago di Barrett.

Esiste una componente genetica nell’esofago di Barrett?

Non è noto se l’esofago di Barrett sia una condizione ereditaria e non è stato identificato un singolo gene responsabile, ma la condizione sembra essere più comune tra i parenti di primo grado dei pazienti affetti.

Quali sono i criteri per lo screening dell’esofago di Barrett?

Nonostante nessuno studio clinico randomizzato abbia finora dimostrato che lo screening dell’esofago di Barrett riduca i tassi di mortalità per adenocarcinoma esofageo, l’American College of Gastroenterology (ACG) e la European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) raccomandano lo screening per l’esofago di Barrett nei pazienti con sintomi di malattia da reflusso gastro-esofagea di lunga durata (più di 5 anni) e con fattori di rischio come:

  • Età superiore ai 50 anni
  • Etnia
  • Sesso maschile
  • Obesità
  • Parenti di primo grado con esofago di Barrett o adenocarcinoma esofageo.

Come viene trattato l’esofago di Barrett?

Il trattamento dell’esofago di Barrett prevede un approccio simile a quello utilizzato per la gestione della malattia da reflusso gastroesofageo (GERD). Le linee guida raccomandano l’uso di inibitori di pompa protonica (IPP) per ridurre i sintomi del reflusso e contrastare l’infiammazione, oltre a diminuire il rischio di progressione verso condizioni più gravi, come la displasia di alto grado (HGD) e l’adenocarcinoma esofageo (EAC).

Tuttavia, le società scientifiche europee e americane raccomandano l’uso regolare degli inibitori di pompa protonica anche in assenza di sintomi, poiché diversi studi hanno dimostrato che, nonostante la terapia, il reflusso acido patologico spesso persiste nei pazienti con esofago di Barrett. Pertanto, il controllo dei sintomi della malattia da reflusso gastroesofageo tramite inibitori di pompa protonica non garantisce la completa gestione dell’esposizione all’acido esofageo.

Conclusione

L’esofago di Barrett è una patologia da sospettare e ricercare nella popolazione a rischio. Una volta identificata, richiede un follow up endoscopico specifico, da eseguire in strutture di riferimento con competenze specifiche in materia. 

Questi centri non solo offrono capacità diagnostiche e di caratterizzazione, ma dispongono anche di tutte le metodiche più avanzate e mininvasive di trattamento per prevenire l’insorgenza dell’adenocarcinoma: dall’ablazione con RFA o nuove tecniche come l’Hybrid APC, finalizzate all’eradicazione dell’esofago di Barrett displastico, fino a interventi di asportazione endoscopica più complessi, mediante dissezione endoscopica sottomucosa (ESD), che consentono di evitare la chirurgia (esofagectomia) nelle forme precoci di neoplasia esofagea.

La prevenzione e il trattamento precoce sono due elementi fondamentali nella lotta al tumore dell’esofago, ed è fondamentale rivolgersi a professionisti esperti nel campo, in grado di offrire tutti i mezzi diagnostici e gli interventi endoscopici mininvasivi di più aggiornati.

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