L’osteoporosi non è una condizione fisiologica correlata all’invecchiamento ma una malattia cronica caratterizzata da alterazioni della struttura ossea con conseguente riduzione della resistenza al carico meccanico e aumentato rischio di fratture.
Se ne riconoscono due forme principali: una “primitiva”, che colpisce le donne in post-menopausa o gli anziani, e una “secondaria”, che invece può interessare soggetti di qualsiasi età affetti da malattie croniche o in terapia con farmaci che direttamente o indirettamente influenzano la salute scheletrica.
Qual è lo specialista a cui rivolgersi?
Proviamo a fare chiarezza con la dott.ssa Giulia Virelli, reumatologa presso gli ambulatori Humanitas Medical Care di Arese, Lainate e Varese.
Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?
L’osteoporosi è una malattia spesso asintomatica, il cui esordio coincide con la comparsa di una frattura da fragilità che interessano più comunemente la colonna vertebrale, il femore prossimale e il polso.
Come viene diagnosticata l’osteoporosi?
L’osteoporosi può essere diagnosticata tramite un esame radiologico chiamato MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata) che consente di identificare la perdita di massa ossea e valutare, nel tempo, l’efficacia di un’eventuale terapia.
Tuttavia, non c’è un singolo specialista di riferimento per l’osteoporosi. Essendo una patologia cronica e degenerativa delle ossa, può infatti coinvolgere più figure mediche, come il reumatologo, l’endocrinologo, l’ortopedico, ma anche il fisiatra, il radiologo, il fisioterapista, etc.
Osteoporosi, quando bisogna rivolgersi al reumatologo?
Dal momento che l’osteoporosi ha un’alta prevalenza tra le persone con malattie reumatologiche, gli specialisti in reumatologia hanno sviluppato, al pari degli endocrinologi, competenza nella diagnosi e nel trattamento di questa patologia, non solo per quanto riguarda i pazienti reumatologici, ma anche nella popolazione generale.
L’osteoporosi è una malattia che, così come altre molto diffuse (come l’ipertensione o l’ipercolesterolemia), necessita di una diagnosi precoce, al fine di impostare una terapia efficace che possa prevenire le complicanze più temibili, ovvero le fratture vertebrali e femorali.
È possibile individuare precocemente la malattia solo grazie a programmi di screening, che devono essere indirizzati alla popolazione più suscettibile: donne in post-menopausa, persone con familarità per osteoporosi complicata da fratture, pazienti che effettuano terapie croniche con farmaci che possono comportare una riduzione della massa ossea (ad esempio corticosteroidi, terapia ormonale in pazienti con neoplasie della mammella o del testicolo), popolazione affetta da disturbi del tratto gastrointestinale che possono determinare sindromi da malassorbimento, etc.
Il riscontro in questi soggetti a rischio di alterazioni della densitometria ossea o alterazioni degli indicatori del metabolismo dell’osso può comportare la necessità di una valutazione specialistica, reumatologica o endocrinologica.
Vista la complessità della patologia, è importante anche il dialogo tra i vari professionisti sanitari che se ne occupano. È fondamentale quindi che anche gli specialisti che si trovano a gestire le complicanze dell’osteoporosi, in genere ortopedici e fisiatri, inviino a valutazione reumatologica o endocrinologica i pazienti che sono già andati incontro a frattura, in modo da instaurare un’adeguata terapia per la prevenzione secondaria, cioè per ridurre il rischio che si sviluppi una nuova frattura, evento la cui probabilità incrementa esponenzialmente dopo il primo evento fratturativo.
A quali malattie reumatiche può essere associata l’osteoporosi?
L’osteoporosi può essere associata ai disturbi reumatologici principalmente per due motivi. Il primo è legato all’effetto diretto di danno sull’osso di molte malattie reumatologiche, il secondo è legato invece all’effetto iatrogeno, ovvero indotto dalla terapia, nello specifico quella con corticosteroidi, ampiamente utilizzati nel trattamento di numerose patologie reumatiche.
Per questo, quasi tutte le patologie di cui si occupa il reumatologo possono essere associate ad un’aumentata fragilità ossea. Il modello più studiato, di cui conosciamo meglio i meccanismi patogenetici, è sicuramente quello dell’artrite reumatoide che risulta essere associata all’osteoporosi nel 30-50% dei casi ed espone i pazienti affetti a un rischio aumentato tra il 60 e il 100% di andare incontro a fratture da fragilità. L’alterata funzione di alcuni meccanismi di regolazione del sistema immunitario produce a livello articolare un’iper attivazione degli osteoclasti, le cellule che si occupano del riassorbimento dell’osso. L’aumento di questo processo comporta non solo danni a livello locale, che si traducono nello sviluppo di erosioni ossee a livello delle superfici articolari, ma anche a livello sistemico, con una progressiva riduzione della densità minerale dell’osso e conseguente aumento della fragilità e del rischio di frattura.
Anche altre patologie reumatologiche presentano un rischio aumentato, ad esempio si stima che più del 50% dei pazienti con spondilite anchilosante presenti osteopenia entro 10 anni dalla comparsa della malattia e circa il 16% riceva una diagnosi di osteoporosi nello stesso lasso di tempo. Anche nel lupus eritematoso sistemico è stato riscontrato un aumento del rischio di frattura legato alla fragilità ossea di circa 2-3 volte superiore a quello che si riscontra in pazienti sani. O ancora tra i pazienti affetti da sclerosi sistemica, vi è una prevalenza di osteoporosi di circa il 25%.
Per quanto riguarda l’aumento della fragilità ossea legato alla terapia steroidea è una problematica alla quale la comunità scientifica reumatologica è diventata particolarmente sensibile negli ultimi anni. La terapia steroidea cronica, anche se a bassi dosaggi, è associata a un rischio di frattura notevolmente aumentato.
Lo specialista in reumatologia nel momento in cui imposta un programma terapeutico con corticosteroidi, consapevole delle tempistiche e delle dosi che richiede il trattamento, è anche in grado di adottare un’adeguata profilassi per la prevenzione del danno osseo.
Che tipo di esami può richiedere il reumatologo per un paziente con osteoporosi?
L’esame fondamentale per la valutazione dell’osteoporosi è la MOC o densitometria ossea, che permette di quantificare la densità minerale dell’osso. Oltre a questo esame spesso vengono richiesti degli esami ematici e delle urine che permettono allo specialista di valutare il metabolismo osseo del paziente nel suo complesso, al fine di instaurare una terapia adeguata. Tramite gli esami del sangue, ad esempio, è possibile individuare condizioni di carenza di vitamina D che può richiedere una supplementazione, anche in pazienti con densitometria nella norma.
Tramite una normale radiografia della colonna è invece possibile identificare le fratture vertebrali, che purtroppo in alcuni casi possono comparire anche senza dar segno di sé, soprattutto in pazienti affetti da dorso-lombalgia cronica.
Che ruolo ha il reumatologo nella gestione dell’osteoporosi e delle complicanze associate alla malattia?
Il reumatologo è una figura chiave nella diagnosi e gestione dell’osteoporosi, non solo per i pazienti affetti da patologie reumatiche ma anche nella popolazione generale. Nella maggior parte dei casi è possibile prevenire le complicanze della malattia rivolgendosi precocemente ad uno specialista, che è in grado di individuare le condizioni a più alto rischio e di selezionare la popolazione in cui è necessario avviare tempestivamente una terapia, scegliendo di volta in volta quella più adatta a ciascun paziente.
Fonti
Adami G, Fassio A, Rossini M, Caimmi C, Giollo A, Orsolini G, Viapiana O, Gatti D. Osteoporosis in Rheumatic Diseases. Int J Mol Sci. 2019 Nov 22;20(23):5867. doi: 10.3390/ijms20235867. PMID: 31766755; PMCID: PMC6928928.
Convegno BoneHealth 6 marzo 2021
Sedi
-
12.000.000 Visite
-
1.000.000 pazienti
-
7.300 professionisti
-
190.000 ricoveri
-
12.000 medici